Le tappe storiche fondamentali che hanno condotto all’attuale disciplina del pubblico impiego sono le seguenti:

  • con l’approvazione nel 1957 dello statuto degli impiegati civili dello Stato , il rapporto di servizio, appunto, con lo Stato, ma anche con altri enti pubblici viene impostato su carriere (dirigenziale, direttiva, di concetto, esecutiva, ausiliaria) articolate in qualifiche con varie classi di stipendio.
  • con la legge-quadro sul pubblico impiego dell’1983 il personale viene qualificato per qualifiche funzionali, inserite nei profili professionali definiti sulla base delle prestazioni lavorative, dei titoli professionali e delle abilitazioni richieste. Con tale legge viene riconosciuto per la prima volta il principio della contrattazione collettiva del pubblico impiego.
  • con il decreto legislativo n. 29 del 1993 il Governo detta norme per la razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e la revisione della disciplina in materia di pubblico impiego.
  • con interventi normativi successivi del Governo la riforma raggiunge la completa sistemazione nel testo unico sul rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche .

La principale innovazione consiste nella privatizzazione del rapporto di pubblico impiego, ovvero nell’applicazione, anche al rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche, delle norme comuni fissate dal codice civile per i rapporti di lavoro subordinato, norma che devono tuttavia essere coordinate con il decreto legislativo n. 165 del 2001, il quale richiama il potere delle amministrazione pubbliche di dettare le norme e i piani di organizzazione.

A tale privatizzazione del rapporto di impiego pubblico segue l’individuazione dell’organo di gestione del personale nella dirigenza pubblica che, in analogia con le dirigenze delle società private, opera adottando provvedimenti gestionali. Viene quindi posta una netta distinzione tra la funzione di gestione amministrativa e la funzione di indirizzo, rispettivamente affidate ai dirigenti e agli organi di direzione politica, legati da un rapporto fiduciario. Gli incarichi dei dirigenti di vertice, infatti, vengono conferiti dall’organo politico per un tempo determinato, con l’eventuale possibilità di rinnovo o revoca.

La cessazione del rapporto d’impiego avviene sia per volontà dell’impiegato (dimissioni), sia per collocamento a riposo al compimento dell’età prescritta dalla legge, sia per morte, sia per decadenza conseguente all’ingiustificato abbandono del servizio, ad incompatibilità, alla perdita della cittadinanza o ad altre ipotesi specifiche.

I diritti dell’impiegato sono quattro:

  • esercitare le funzioni corrispondenti alla qualifica e al profilo professionale attribuito al posto.
  • ottenere la sede cui aspira, subordinatamente alle esigenze di servizio.
  • partecipare ai procedimenti di mobilità, per la copertura dei posti vacanti prima dell’espletamento degli eventuali concorsi.
  • conservare il posto, godendo dell’ immobilità , ma solo se fa parte di alcune particolari categorie di funzionari o agenti.

I doveri degli impiegati, invece, nascono dalla matrice dell’art. 54 co. 2 che disciplina il dovere di fedeltà, la cui violazione porta alla responsabilità. L’art. 28, che disciplina tale responsabilità, dispone che essa sia imputabile in primo luogo al titolare dell’ufficio verso il terzo danneggiato, ma che in alcuni casi vi sia una corresponsabilità solidale dello Stato. Le responsabilità del pubblico impiegato sono comunque di quattro differenti specie, ovvero disciplinare, penale, civile e contabile.

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