Il legislatore ha previsto che anche nel settore pubblico trova applicazione l’articolo 2106 del Codice Civile, in base al quale l’inosservanza degli obblighi di diligenza e fedeltà “può” dare luogo all’irrogazione di sanzioni disciplinari secondo il principio di proporzionalità alla gravità dell’infrazione ed in conformità con le previsioni dei contratti collettivi. Tuttavia, al dichiarato fine “di potenziare il livello di efficienza degli uffici pubblici e di contrastare i fenomeni di scarsa produttività ed assenteismo”, il legislatore ha nuovamente legificato l’intera materia disciplinare dettando disposizioni che si distaccano in apicibus dalla disciplina del lavoro privato, in quanto:

a) il responsabile dell’ufficio ove è stata commessa l’infrazione non soltanto “può”, bensì deve avviare l’azione disciplinare;

b) quelle disposizioni hanno natura di norme imperative ai sensi degli articoli 1339 e 1419, comma 2 del Codice Civile e, quindi, determinano la nullità di ogni diversa previsione della contrattazione collettiva pubblica.

In particolare, pur riconoscendo a tale contrattazione la competenza di definire la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni, il legislatore ne limita il campo di azione regolando direttamente, e, inderogabilmente, i provvedimenti disciplinari che devono essere adottati in presenza di determinati comportamenti inadempienti da parte dell’impiegato pubblico.

E così, è previsto il licenziamento disciplinare, anzitutto, in caso di falsa attestazione della presenza in servizio con modalità fraudolente, ovvero giustificazione dell’assenza mediante certificazione medica falsa o attestante falsamente uno stato di malattia (per tali ipotesi, è prevista anche la sanzione penale sia per il dipendente che per chiunque altro abbia concorso nel reato, incluso il medico). Norme più restrittive sono previste nello schema di decreto legislativo che, ai sensi della legge delega 124 del 2015, è stato sottoposto al prescritto esame parlamentare.

In particolare, è previsto: l’ampliamento della nozione di falsa attestazione, così da includere qualunque “modalità fraudolenta”, mediante la quale un dipendente faccia falsamente risultare di essere in servizio; l’obbligo, in caso di accertamento “in flagranza” o mediante strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze, di sospensione cautelare entro le successive 48 ore; la previsione di una procedura disciplinare accelerata, che deve concludersi entro 30 giorni dalla conoscenza dei fatti; l’obbligo di trasmettere gli atti alla Procura della Corte dei conti per il risarcimento del danno all’immagine della pubblica amministrazione, causato dal dipendente assenteista.

Altre ipotesi tipizzate, nella disciplina vigente, per le quali deve essere irrogato il licenziamento disciplinare sono: l’assenza ingiustificata per un numero superiore a 3 giorni nell’arco di un biennio o di 7 giorni nel corso degli ultimi 10 anni; l’ingiustificato rifiuto del trasferimento disposto dall’amministrazione per motivate ragioni di servizio; le falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro o di progressioni di carriera; la reiterazione nell’ambiente di lavoro di gravi condotte aggressive, moleste o minacciose o ingiuriose o lesive dell’altrui onore o dignità; la condanna penale definitiva per la quale sia prevista l’interdizione perpetua dai pubblici uffici o l’estinzione del rapporto di lavoro.

Il licenziamento disciplinare è, inoltre, previsto nel caso di valutazione di insufficiente rendimento riferibile ad un arco temporale di almeno un biennio, sempreché esso sia dovuto alla reiterata violazione degli obblighi concernenti la prestazione stessa. Sono, inoltre, previste sanzioni conservative diverse e più gravi di quelle tipizzate dall’articolo 7 della legge 300 del 1970. In particolare, la condanna della pubblica amministrazione al risarcimento del danno derivante dalla violazione, da parte del lavoratore, degli obblighi concernenti la sua prestazione, comporta l’applicazione della sospensione dal servizio con privazione della retribuzione da un minimo di 3 giorni fino ad un massimo di 3 mesi, in proporzione all’entità del risarcimento.

In ogni caso, ove il lavoratore cagioni grave danno al normale funzionamento dell’ufficio di appartenenza, per inefficienza o incompetenza professionale accertate dall’amministrazione ai sensi delle disposizioni legislative e contrattuali concernenti la valutazione del personale, è collocato in disponibilità. Il provvedimento che definisce il giudizio disciplinare stabilisce le mansioni e la qualifica per le quali può avvenire l’eventuale ricollocamento e, durante il periodo nel quale è collocato in disponibilità, il lavoratore non ha diritto di percepire aumenti retributivi sopravvenuti. Infine, l’esercizio del potere disciplinare è condizionato all’affissione del codice disciplinare in luogo accessibile a tutti i dipendenti, ma tale adempimento può essere soddisfatto anche mediante la pubblicazione del codice sul sito istituzionale dell’amministrazione.

 

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