L’imprenditore, in una situazione di crisi, non ha alcun obbligo di ricorrere alla Cassa integrazione guadagni, potendo decidere di procedere ad una riduzione di personale.

Del resto l’eccedenza di personale con caratteri di definitività potrebbe manifestarsi fin dalla prima fase della crisi, rendendo così impraticabile il ricorso alla CIGS.

Infine, il detto problema potrebbe anche interessare imprese che non rientrino nel campo di applicazione della CIGS, le quali, per questo motivo, non potranno ricorrere al collocamento in mobilità.

L’art. 24, L. n. 223 del 1991 ha dettato una specifica disciplina in materia che ha portata generale e costituisce attuazione della normativa comunitaria in materia di licenziamenti collettivi. Questa disposizione individua la nozione di licenziamento collettivo per riduzione di personale e ne stabilisce le regole.

Essa fa riferimento ad un imprenditore che occupa più di 15 dipendenti che decide di effettuare almeno 5 licenziamenti nell’arco di 120 giorni, in conseguenza di una riduzione o trasformazione dell’attività o del lavoro, nell’ambito di ciascuna unità produttiva o di più unità produttive presenti sul territorio della stessa provincia. Ai fini di tale previsione sono da includere tutti i licenziamenti riconducibili ad una stessa riduzione o trasformazione.

Nell’ambito del “licenziamento collettivo per riduzione di personale” viene ricompreso anche il licenziamento intimato dall’imprenditore che intenda cessare totalmente l’attività.

L’art. 24 pone a fondamento del licenziamento collettivo per riduzione di personale “una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro” aggiungendo, in conformità con la previsione della Direttiva comunitaria del 1975, i requisiti numerici, temporali e spaziali di cui si è detto in precedenza.

In presenza di una riduzione o trasformazione di attività o di lavoro, l’attivazione della procedura da parte dell’imprenditore comporta automaticamente la natura collettiva del licenziamento. Tuttavia, sembra che si debba riconfermare la possibilità di un controllo giudiziario sull’effettiva sussistenza di questo requisito, e che resta preclusa ogni indagine sul merito delle scelte imprenditoriali; inoltre si deve ritenere che il controllo del giudice comprenda il nesso di causalità tra la scelta imprenditoriale ed il singolo licenziamento, anche in considerazione dell’esplicita previsione secondo la quale i licenziamenti devono essere tutti “riconducibili alla medesima riduzione o trasformazione”.

L’art. 24, L. n. 223 prevede che si applichino tutte le disposizioni procedurali dettate per il collocamento in mobilità dei lavoratori. L’imprenditore è dunque tenuto al rispetto delle procedure e degli adempimenti amministrativi previsti dall’art. 4, oltre che al rispetto dei criteri di scelta, del preavviso e dei vincoli formali. Comune alle due ipotesi è anche il regime dell’inefficacia e dell’annullabilità del licenziamento intimato senza l’osservanza dei requisiti procedurali e formali, ovvero dei criteri di scelta, nonché l’applicazione sia dell’art. 18, L. n. 300, sia del termine di impugnazione. Unica particolarità è che per i lavoratori oggetto della procedura di mobilità, il licenziamento ex art. 24 deve avvenire entro 120 giorni dalla sua conclusione.

La legge non si pronuncia in merito alle conseguenze da riconnettere alla mancanza del presupposto causale o del nesso di causalità.

Secondo alcuni il licenziamento collettivo si trasformerebbe in tanti licenziamenti individuali. Va detto, però, che se il giudice accerti che “questi licenziamenti individuali” sono riconducibili ad un riduzione o trasformazione di attività o del lavoro, e che ricorrano i requisiti temporali, numerici e spaziali dell’art.24., i licenziamenti sono da considerarsi collettivi, con la conseguenza che sono da ritenersi inefficaci per inosservanza dei vincoli procedurali, e che ad essi va applicato l’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

La L. n. 223 ha poi esteso ai lavoratori dipendenti da aziende che rientrano nel campo di applicazione della normativa straordinaria della CIG, ma che sono destinatari di un licenziamento collettivo, ai sensi dell’art. 24, il diritto all’indennità di mobilità ed all’iscrizione nelle liste di mobilità, alle stesse condizioni per il collocamento in mobilità. Inoltre è stata assicurata l’iscrizione nelle liste di mobilità, ma senza diritto all’indennità, ai lavoratori che, licenziati ai sensi dell’art. 24 da imprese soggette alla CIGS, non abbiano diritto all’indennità di mobilità a causa della mancanza dell’anzianità aziendale di 12 mesi, nonché ai lavoratori che abbiano subito un licenziamento collettivo, ai sensi dell’art.24, da imprese non soggette alla disciplina della CIGS.( In seguito questa soluzione è stata anche adottata per i lavoratori dipendenti da datori di lavoro non imprenditori).

 

Gli oneri economici posti a carico delle imprese

La L. n. 223 del 1991 a posto a carico dell’imprenditore soggetto alla disciplina della CIGS oneri economici di un certo peso (cosiddetto contributo di mobilità), soprattutto quando i lavoratori licenziati gravano sulla spesa previdenziale.

L’art. 5, co. 6°, L. n. 223 del 1991 ha previsto un aggravio qualora il collocamento in mobilità avvenga tra la fine del 12° mese dalla concessione della CIG e la fine del 12° mese successivo al completamento del programma di risanamento. La ratio della norma è di evitare che il costo dell’intervento straordinario si cumuli con quello dell’indennità di mobilità, inducendo le imprese a rendere le eccedenze definitive.

 

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