Nozione di licenziamento collettivo

L’art. 24 della l. n. 223 del 1991 prevede che si ha licenziamento collettivo quando un’impresa o (d.lgs. n. 110 del 2004) un datore di lavoro non imprenditore che si occupi di almeno quindici dipendenti proceda ad almeno cinque licenziamenti entro un arco di tempo di 120 giorni, per una delle seguenti causali:

  • cessazione di attività.
  • trasformazione di attività o di lavoro.
  • riduzione di attività o di lavoro.

Le tre causali previste dall’art. 24 rientrano certamente nella più ampia nozione di giustificato motivo oggettivo. Considerando, poi, che il licenziamento collettivo non esiste come atto giuridico, non risolvendosi in qualcosa di diverso da una pluralità di licenziamenti individuali, non sembrano esservi particolari ostacoli a ritenere che i licenziamenti individuali di cui si compone il licenziamento collettivo siano equiparabili a tanti licenziamenti per giustificato motivo oggettivo, rimanendo poi da decidere se la causale giustificatrice debba essere rinvenuta nella cessazione, trasformazione o riduzione di attività o di lavoro, oppure direttamente nelle ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.

In sintesi, comunque, quale che sia il rapporto, al limite anche soltanto concettuale, con la fattispecie affine del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, non vi sono dubbi sul fatto che, qualora il datore di lavoro indenta procedere ad un licenziamento che ha le caratteristiche del licenziamento collettivo, egli deve seguire la procedura prevista dagli artt. 4 e 5 della l. n. 223 del 1991.

Procedura del licenziamento collettivo

La procedura prevista dalla l. n. 223 del 1991 sé la seguente:

  • l’imprenditore o il datore di lavoro deve comunicare per iscritto l’intenzione a procedere ad un licenziamento collettivo alle rappresentanze sindacali aziendali ed alle rispettive associazioni sindacali di categoria. In mancanza di tali organismi di rappresentanza, tale comunicazione deve essere effettuata alle associazioni di categoria aderenti alle confederazioni maggiormente rappresentative sul piano nazionale.

Tale comunicazione deve contenere una serie di informazioni sul progettato licenziamento collettivo:

  • i motivi che ne determinano la situazione di eccedenza.
  • i motivi tecnici, organizzativi o produttivi per i quali si ritiene di non poter adottare misure idonee a rimediare la situazione di tali licenziamenti.
  • il numero, la collocazione aziendale e i profili professionali del personale eccedente (non ancora i nominativi).
  • i tempi di attuazione del programma.
  • le eventuali misure previste per fronteggiare le conseguenze sociali del licenziamento (es. procedure di outplacement).
  • entro sette giorni dal ricevimento di tale comunicazione, a richiesta delle rappresentanze e delle rispettive associazioni, si procede ad un esame congiunto tra le parti, allo scopo di esaminare le cause che hanno contribuito a determinare l’eccedenza del personale e la possibilità di utilizzare diversamente tale personale nell’ambito della stessa impresa (es. contratti di solidarietà difensivi, CIG):
    • qualora venga raggiunto un accordo entro il termine di quarantacinque giorni dalla data di ricevimento della comunicazione (massimo), la procedura si conclude.
    • qualora non venga raggiunto tale accordo, è previsto un supplemento di procedura dinanzi alla Direzione provinciale del lavoro, la quale deve concludersi entro ulteriori trenta giorni.

Ove neppure dopo tale fase amministrativa si riesca a concludere un accordo, le parti riacquistano piena libertà di azione, rispettivamente, di licenziare e di ricorrere ad azioni di sciopero.

  • a prescindere che un accordo sia stato concluso o meno, il datore di lavoro, entro il termine di centoventi giorni dalla conclusione della procedura, può procedere a disporre i singoli atti di recesso, i quali dovranno essere comunicati a ciascun lavoratore prescelto nel rispetto dei termini di preavviso.

Quanto detto, tuttavia, presuppone l’effettuazione di un’ulteriore operazione normativa regolata, ossia l’individuazione dei lavoratori da licenziare.

La legge, come detto, fa il possibile per incentivare il raggiungimento di un accordo con la parte sindacale (gestione consensuale della crisi aziendale). Occorre comunque sottolineare che:

  • se non vi è un accordo sindacale, l’imprenditore che dispone un licenziamento collettivo con collocazione in mobilità deve corrispondere all’INPS un contributo pari a sei/ nove mensilità di retribuzione per lavoratore licenziato, le quali servono a finanziare la mobilità.
  • se vi è un accordo sindacale, deve corrispondere solo tre mensilità per ciascun lavoratore.

Risulta quindi evidente che i sindacati concederanno il loro assenso alla stipulazione di un accordo soltanto in cambio di sostanziali concessioni da parte dell’imprenditore (es. riduzione del numero dei licenziamenti progettati, riconoscimento di incentivi economici in aggiunta all’indennità di mobilità, misure sociali tendenti alla riqualificazione professionale dei lavoratori).

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