Il divieto di concorrenza, previsto dall’articolo 2105 del Codice Civile, deriva dal contratto di lavoro ed opera per tutta la durata del rapporto di lavoro. Pertanto, cessato il rapporto, il lavoratore è libero di utilizzare le conoscenze e le esperienze acquisite in una nuova attività di lavoro dipendente, autonomo o imprenditoriale, anche in concorrenza con il suo ex datore di lavoro (salvi i divieti generali stabiliti dall’articolo 2598 del codice civile e dagli articoli 622 e 623 del codice penale).
Il datore di lavoro, però, avvalendosi della posizione di forza contrattuale, potrebbe limitare la libertà del lavoratore inducendolo, durante il rapporto di lavoro, a sottoscrivere un patto che lo obblighi a non svolgere attività concorrenziali anche nel periodo successivo alla cessazione del rapporto di lavoro. A tutela della libertà del lavoratore, quindi, l’articolo 2125 del Codice Civile prevede la nullità del patto che “limita lo svolgimento dell’attività del prestatore di lavoro, per il tempo successivo alla cessazione del contratto”, ove il patto stesso non soddisfi determinate condizioni, vale a dire:
a) ove non risulti da atto scritto;
b) ove non sia pattuito un corrispettivo a favore del prestatore di lavoro;
c) ove il vincolo del lavoratore non sia contenuto entro determinati limiti di oggetto, di tempo e di luogo.
In ogni caso, la durata del vincolo non può essere superiore, per i dirigenti, a 5 anni, e, per gli altri lavoratori, a 3 anni. Pertanto, ove il patto preveda una durata maggiore, essa è ridotta entro i termini ora indicati. Il corrispettivo pattuito deve essere adeguato, al fine di compensare il lavoratore della limitazione della sua libertà e della conseguente riduzione delle possibilità di guadagno derivanti dal vincolo assunto.
Allo stesso modo, i limiti di oggetto, di tempo e di luogo devono essere individuati in modo che la loro estensione non sia tale da precludere al lavoratore qualsiasi possibilità di occupazione, in relazione alla specifica professionalità posseduta. L’articolo 2125 del Codice Civile, dunque, contempera opposte esigenze. Da un lato, tiene conto della ragionevole esigenza del datore di lavoro di prevenire la concorrenza che lecitamente il dipendente può esercitare dopo la cessazione del rapporto di lavoro. D’altro lato, però, intende salvaguardare il diritto del lavoratore di continuare a lavorare anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro, ponendo limiti inderogabili all’assunzione dell’obbligo contrattuale di non concorrenza e assicurando, nel contempo, un corrispettivo per l’assunzione di tale obbligo.