I divieti legali di concorrenza
Oltre le limitazioni di natura pubblicistica, la libertà di concorrenza subisce un ulteriore limitazione, disposta dal legislatore, a tutela di interessi patrimoniali e privati. Nel codice civile ci sono delle norme che pongono a carico di soggetti legati da particolari rapporti contrattuali l’obbligo di astenersi dal far concorrenza alla controparte, al fine di assicurare il corretto svolgimento o la corretta esecuzione di un contratto. Tali divieti sono detti divieti legali di concorrenza.
Questi sono divieti che durano per tutto il tempo della collaborazione economica e la portata del divieto si modella in funzione dell’attività imprenditoriale effettivamente esercitata dall’avente diritto.
Essendo previsti nell’interesse della controparte, tali divieti hanno carattere dispositivo, cioè operano senza una necessaria pattuizione, ma sono convenzionalmente derogabili.
Sono divieti legali di concorrenza:
l’obbligo di fedeltà a carico dei prestatori di lavoro previsto dall’art. 2105 , che gli vieta di trattare affari in concorrenza con l’imprenditore fin quando dura il rapporto di lavoro;
il divieto di esercitare attività concorrente con quello della società, posto a carico degli amministratori di società di capitali e dei soci illimitatamente responsabili di società di persone;
il diritto di esclusiva reciproca nel contratto di agenzia, art. 1743, in base al quale né il preponente non può valersi contemporaneamente di più agenti nella stessa zona e per lo stesso ramo di attività, né l’agente può assumere l’incarico di trattare nella stessa zona e per lo stesso ramo gli affari di più imprese in concorrenza tra loro.
Limitazioni convenzionali della concorrenza
Dall’art. 2596 desumiamo che la libertà individuale di iniziativa economica di concorrenza è libertà parzialmente disponibile. Infatti, questo articolo permette la stipulazione di accordi restrittivi della concorrenza e detta una disciplina di carattere generale degli stessi fondata su tre regole:
il patto che limita la concorrenza deve essere provato per iscritto;
il patto non può precludere al soggetto che si vincola lo svolgimento di ogni attività professionale in quanto è previsto che il patto stesso è valido solo se circoscritto ad un determinato ambito territoriale o ad un determinato tipo di attività;
il patto può durare massimo 5 anni.
Rispettate le condizioni fissate dall’art. 2596, ogni accordo limitativo della concorrenza fra imprese italiane deve ritenersi valido quando non ricorrono i presupposti per l’applicazione delle norme antimonopolistiche comunitarie e purché non ricadono nel divieto di intese anticoncorrenziali o di abuso di posizione dominante introdotto dalla legge 287/1990.
Oltre alla disciplina generale fissata dall’art. 2596 vi sono anche altre disposizioni che dettano una regolamentazione specifica per alcuni patti anticoncorrenziali innominati: i patti autonomi e i patti accessori.
I patti autonomi sono gli accordi limitativi della concorrenza che si presentano sotto forma di autonomo contratto che ha come oggetto e funzione esclusivi la restrizione della libertà di concorrenza.
Un tale contratto può prevedere obblighi nei confronti di una sola delle parti, restrizioni unilaterali, o nei confronti di entrambe le parti, restrizioni reciproche. Quest’ultime si chiamano cartelli o intese e possono prevedere impegni reciproci di vario tipo:
la quantità totale di produzione e la quota spettante ad ogni impresa, cartelli di contingentamento;
si ripartiscono le zone di distribuzione, cartelli di zona;
predeterminare i prezzi di vendita da praticare, cartelli di prezzo.
Il limite dei 5 anni è applicabile solo alle restrizioni reciproche della concorrenza che non prevedono la costituzione di una organizzazione comune per la realizzazione del loro oggetto, consorzi.
I patti accessori sono gli accordi restrittivi della concorrenza che si presentano come clausola accessoria di un altro contratto con diverso oggetto. Anch’essi possono essere a carico di una sola delle parti o di entrambe. Inoltre, essi possono intercorrere sia fra imprenditori in diretta concorrenza, in quanto operano nello stesso livello del processo produttivo o commerciale, restrizioni orizzontali, oppure tra imprenditori che operano a livelli diversi fra i quali manca una concorrenza diretta, restrizioni verticali. (es. concessione di vendita in esclusiva, somministrazione di merci con prezzo imposto).
Il codice disciplina esplicitamente:
la clausola di esclusiva, che può essere inserita in un contratto di somministrazione;
il patto di preferenza a favore del somministrante inserito nel contratto di somministrazione; non può superare i 5 anni;
il patto di non concorrenza con il quale si limita l’attività del prestatore di lavoro per il tempo successivo alla cessazione del contratto. Tale patto è nullo se non risulta da atto scritto o se non è previsto un compenso per il lavoratore;
il patto di concorrenza dell’agente dopo lo scioglimento del contratto di agenzia; tale patto deve farsi per iscritto, non può durare più di 2 anni e deve riguardare la stessa zona, clientela e genere di servizi o beni oggetto del contratto di agenzia.
Quindi, l’art. 2596 si applica solo ai patti accessori innominati.
Il limite dei 5 anni si applica ai patti innominati solo se comportano limitazioni della concorrenza non funzionali al tipo di contratto cui accedono, e non quando il patto e il contratto abbiano la stessa funzione economica.
Secondo l’opinione più diffusa, le limitazioni dell’art. 2596 si applicherebbero solo alle restrizioni orizzontali della concorrenza. Mentre le restrizioni verticali sarebbero regolati dall’art. 1379 che prevede che il divieto di alienare stabilito per contratto ha effetto solo tra le parti, e non è valido se non è contenuto entro convenienti limiti di tempo e se non risponde a un apprezzabile interesse di una delle parti. Ma tale tesi non è condivisibile.