Il contratto a termine è un contratto precario, in quanto risponde ad esigenze solo transitorie delle imprese e in più l’eventuale proroga o i rinnovi si prestano a numerosi abusi da parte del datore. Nel tentativo di superare l’articolo 2096 cc, che richiedeva la specialità del rapporto o la forma scritta per l’apposizione del termine al contratto, la legge 230 del 1962, oltre ad imporre per la sola apposizione del termine la forma scritta ad substantiam, ne ammetteva l’apposizione solo nelle ipotesi tassativamente previste dalla legge o dai contratti collettivi, in ottemperanza della direttiva CE 70/99.

Regime attuale: parziale liberalizzazione

L’articolo 11 del decreto legislativo 368/01 ha provveduto all’abrogazione della legislazione precedente, salvo la ricezione integrale di alcune disposizioni. L’aspetto più rilevante del decreto legislativo è stato il passaggio dalla tecnica rigida delle ipotesi tassative, alla tecnica e elastica delle ragioni tecniche produttive, organizzative e sostitutive che consentissero l’apposizione del termine. Nonostante sia scomparsa la disposizione dell’articolo uno della legge 230, secondo la quale “il contratto di lavoro si reputa a tempo indeterminato”, sussiste ancora, nel nostro ordinamento, il favore per questo tipo contrattuale.

Secondo parte della dottrina, la genericità della formula delle ragioni tecniche sarebbe tale da escludere la rilevanza di un vero e proprio limite, con la conseguenza che la stipulazione del contratto a termine sarebbe libera e acausale. Tale tesi, tuttavia, contrasta con il carattere oggettivo delle ragioni tecniche e con la possibilità delle stesse di essere sottoposte al sindacato giudiziario, anche se quest’ultimo non può comunque estendersi al merito delle ragioni indicate dal datore, ma solo ad una valutazione della veridicità delle ragioni e del nesso di causalità con l’apposizione del termine. Quanto alle ragioni e sostitutive, la disposizione sul punto è definita: se non vi è dubbio che si tratti della sostituzione di lavoratori assenti è imprecisato se si tratti dei soli lavoratori con il diritto alla conservazione del posto o anche degli altri, compresi i lavoratori in ferie. La soluzione sembra propendere per la seconda ipotesi.

Temporaneità delle ragioni tecniche e durata del contratto

Ci si domanda se carattere delle ragioni tecniche sia anche quello della temporaneità. Parte della dottrina lo nega, ritenendo che tale carattere sia implicito nella stessa apposizione del termine. Ma questa crisi rischia di svuotare il contenuto all’articolo 1 del decreto legislativo 368/01, poiché in questo caso al datore sarebbe concesso indicare una qualsiasi ragione tecnica, anche paradossalmente una che potrebbe indurlo a stipulare un contratto a tempo indeterminato. È sufficiente che le ragioni tecniche abbiano carattere di temporaneità al momento della apposizione del termine: se nel corso del rapporto questo carattere dovesse venire meno non si avrebbe la trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato, anche se sarebbe ammissibile una tale trasformazione purché preventivamente concordata tra le parti.

Per individuare la durata del contratto a termine occorre riferirsi all’articolo 4, secondo cui la proroga non può essere ammessa quando la durata iniziale del rapporto sia superiore ai tre anni, con conseguente ammissibilità, in mancanza di proroga, di una durata massima superiore ai tre anni. La ragione di questo limite sta nella necessità di evitare abusi derivanti dal susseguirsi di più contratti successivi nel tempo. Appare tuttavia difficile che le ragioni tecniche siano tali da giustificare una durata del contratto superiore a tre anni. Il periodo di tre anni costituisce il limite massimo anche per i dirigenti, i quali, pur nel caso della durata quinquennale del contratto, possono eccedere ad nutum dopo tre anni. Ammettere una durata massima superiore a tre anni per gli altri lavoratori senza la previsione del recesso ad nutum, potrebbe configurare un contrasto anche con il principio di uguaglianza giuridica ex art 3 Cost.

Onere della prova della proroga e dell’apposizione del termine

L’onere della prova delle ragioni giustificative della proroga grava sul datore. Anche l’onere della prova della fondata apposizione del termine grava sul datore ai sensi dell’articolo 2697 cc. Infatti, se si considera che tuttora alla regola è quella del rapporto a tempo indeterminato, il lavoratore dovrà solo fornire la prova dell’esistenza del rapporto, spettando poi al datore, per resistere alle pretese del suo dipendente, fornire prova delle ragioni giustificative dell’apposizione del termine. Ciò accade anche perché è il datore che determina le ragioni tecniche, con mera adesione da parte del prestatore.

Forma scritta e ragioni tecniche per la validità della clausola

Ai sensi dell’articolo uno la clausola di apposizione del termine richiede la forma scritta ad substantiam, a pena di nullità della clausola per mancanza di un elemento essenziale ex articolo 1418 cc, nonostante la norma parli di “clausola priva di effetto”. Nel caso di assunzione di lavoratori stranieri, l’apposizione del termine non può risultare dati dell’autorità amministrativa, come il permesso di lavoro o di soggiorno.

L’apposizione del termine può risultare anche indirettamente da elementi che facciano concludere per l’implicita apposizione (ad esempio il riferimento a prestazioni lavorative stagionali). Copia dell’atto scritto deve essere consegnata dal datore al lavoratore entro cinque giorni lavorativi dall’inizio della prestazione; l’omissione della consegna determina un’azione risarcitoria per violazione dell’obbligo contrattuale di correttezza e buona fede. L’atto scritto deve indicare: specificazione delle ragioni tecniche; autenticità delle stesse; nesso di causalità tra ragioni tecniche e apposizione del termine, a pena di nullità della clausola, ex articolo 1418, per violazione di norma imperativa di legge.

Le conseguenze della nullità

Secondo parte della dottrina la nullità dell’apposizione del termine darebbe luogo alla nullità dell’intero contratto, se risultasse che i contraenti non l’avrebbero concluso senza la clausola dichiarata nulla (ex articolo 1419 cc). Altra parte della dottrina distingue tra inefficacia dell’apposizione del termine per mancanza o infondatezza delle ragioni, e nullità per vizio di forma: nel primo caso si avrebbe la trasformazione del contratto a termine in contratto a tempo indeterminato; nel secondo caso si avrebbe la nullità dell’intero contratto ex articolo 1419 primo comma cc.

In realtà ciò che rileva non è il primo, ma il secondo comma dell’articolo 1419 cc, secondo il quale la nullità di singole clausole del contratto non comporta la nullità dell’intero contratto quando le clausole nulle possono essere sostituite da norme imperative. Nel caso della clausola di apposizione del termine la norma imperativa consiste nella regola del contratto a tempo indeterminato, che si sostituisce automaticamente alla clausola di apposizione del termine quando la stessa è nulla, per mancanza o infondatezza delle ragioni giustificative o per difetto di forma.

Proroga del termine: condizioni e conseguenze della nullità

L’art. 4 del decreto legislativo 368/01 ammette la proroga una sola volta, purché giustificata da ragioni oggettive e purché si riferisca alla stessa attività per la quale il contratto di lavoro è stato stipulato a tempo determinato. La proroga, che comporta la continuità del vecchio rapporto e non la costituzione di uno nuovo, richiede il consenso anche orale del prestatore e non può essere apposta se la durata iniziale del contratto è superiore a tre anni. La mancanza delle condizioni prescritte per la proroga comporta la nullità della stessa per contrasto con norma imperativa di legge, con la conseguente trasformazione del rapporto a tempo indeterminato, per illecita continuazione dello stesso.

 

La continuazione illecita del rapporto

La continuazione è illecita se avviene proibente domino, o in violazione delle condizioni di validità della proroga; in caso di continuazione illecita subentrano a carico del datore due tipi di sanzioni: una di carattere economico, l’altra di carattere normativo.

Dal punto di vista economico, il datore tenuto a corrispondere al lavoratore una maggiorazione della retribuzione del 10% per i primi 10 giorni di continuazione illecita, è del 40% per i successivi.

La sanzione normativa si aggiunge a quella economica quando:

il rapporto continua dopo i termini previsti dall’ art. 5, e consiste nella conversione del rapporto a termine in rapporto a tempo indeterminato a partire dalla scadenza dei termini previsti dallo stesso articolo;
quando due contratti a termine si susseguano secondo i termini previsti dall’ art. 5; in questo caso il secondo contratto a termine si trasforma in un contratto a tempo indeterminato a partire dalla sua stipulazione;

In entrambi i casi si ha una conversione ex nunc del rapporto. La differenza tra la conversione ex tunc, in caso di mancanza della forma scritta o infondatezza dell’apposizione, e quella ex nunc nelle ipotesi ora considerate, consiste nel fatto che nella prima ipotesi i due rapporti si integrano fino a formarne uno solo (come il riconoscimento dell’anzianità pregressa); viceversa nella seconda ipotesi i due rapporti sono autonomi ciascuno rispetto all’altro.

Dalla successione tra due contratti a termine si distingue la rinnovazione (la cui efficacia è retroattiva), che ricorre, ai sensi dell’ art. 5, quando due assunzioni a tempo determinato si succedono senza alcuna soluzione di continuità. Ne consegue che il rapporto di lavoro si prospetta a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto.

I diritti dei lavoratori a termine

L’ art. 6 d.lgs. 368/01 stabilisce che spetta ai lavoratori a termine ogni trattamento (con esclusione di quelli incompatibili o ad personam) in atto nell’impresa per i lavoratori a tempo indeterminato cosiddetti “comparabili”, ossia quelli inquadrati nello stesso livello, in proporzione al periodo di lavoro. L’onere della prova dei trattamenti riconosciuti ai lavoratori comparabili grava sul lavoratore che avanza la pretesa di uguale trattamento. Ai lavoratori stagionali e riconosciuto, entro un anno dalla cessazione del rapporto, il diritto di precedenza nelle assunzioni (non necessariamente a termine) ex art.10. Nel caso del mancato rispetto da parte del datore del diritto di precedenza, il lavoratore può agire per ottenere il risarcimento del danno o per l’esecuzione in forma specifica dell’obbligo di assunzione.

Il contingentamento

Rientra nei diritti dei lavoratori a termine il contingentamento, ossia i limiti quantitativi alla stipulazione dei contratti a termine rispetto a quelli a tempo indeterminato;l’art. 10 d.lgs. 368/01 rimette contratti collettivi il compito di individuare i limiti quantitativi. Contrariamente alla precedente normativa, oggi sono esenti da limitazioni quantitative i contratti a tempo determinato conclusi nelle ipotesi espressamente contemplate, che coincidono con quelle che, nella legge 230/62, erano le ipotesi tassative che legittimavano l’ apposizione del termine. Altre ipotesi di esclusione dal contingentamento riguardano alcune categorie di lavoratori svantaggiati.La violazione del contingentamento comporta una difficile giustiziabilità.

Divieti ed esclusioni

La stipulazione del contratto a termine non è ammessa:
per la sostituzione di lavoratori in sciopero, onde evitare fenomeni di crumiraggio;
per la sostituzione di lavoratori che l’impresa abbia, nei sei mesi precedenti, licenziato per riduzione del personale o posto in cassa integrazione, al fine di evitare il fenomeno, più conveniente per il datore, di sostituzione di lavoratori a tempo indeterminato con lavoratori a tempo indeterminato;
per il settore della pubblica amministrazione, per il quale opera l’ art. 36 d.lgs. 165/01;
pera speciale contratti, quali i contratti di inserimento, di apprendistato o con finalità formative, attualmente rientranti nella disciplina del d.lgs. 276/03.

Ipotesi di disciplina speciale dell’apposizione del termine sono previste:
per il trasporto aereo e di servizi aeroportuali, per cui la durata del contratto a termine non può superare il periodo complessivo di sei mesi;
per i dirigenti, per cui la durata del contratto a termine non può superare cinque anni, come la possibilità per i dirigenti di recedere ad nutum dal contratto dopo tre anni.
i contratti a termine nel settore della navigazione, sia marittima che aerea, sono regolamentati da specifiche norme del codice della navigazione.

 

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