Il legislatore, sviluppando modelli di collaborazione funzionale tra pubblico e privato già esistenti nel nostro ordinamento, ha affidato direttamente alle categorie interessate, nell’ambito di una disciplina legale assai vincolante, la predisposizione di tutele che lo Stato, per esigenze di bilancio, non è in grado di assicurare direttamente. Nei settori non ricompresi nel campo di applicazione delle integrazioni salariali, infatti, la contrattazione collettiva è chiamata a costituire fondi di solidarietà bilaterali, anche intersettoriali, che sono obbligatori per i datori di lavoro che occupano più di 5 dipendenti.

Scopo di tali fondi è quello di garantire ai lavoratori esclusi dalla disciplina legale delle integrazioni salariali una analoga tutela nelle ipotesi di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa. In particolare, ai lavoratori deve essere assicurata almeno la prestazione di un assegno ordinario di importo pari all’integrazione salariale, per una durata predeterminata dai fondi stessi entro limiti minimi e massimi fissati dalla legge, oltre alla contribuzione previdenziale correlata. Inoltre, è previsto che i fondi possono eventualmente operare, a favore dei lavoratori, anche altri interventi, e, in tale ipotesi, è consentita la loro istituzione anche in quei settori e per quei datori di lavoro che già beneficiano di trattamenti di integrazione salariale.

In particolare, i fondi possono anche erogare: prestazioni integrative dei trattamenti pubblici erogati in caso di cessazione del rapporto di lavoro; prestazioni integrative rispetto ai trattamenti spettanti per legge in caso di cessazione del rapporto di lavoro o a titolo di integrazioni salariali; assegni straordinari per agevolare l’esodo dei lavoratori prossimi al pensionamento; contributi per il finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale. Tali fondi, privi di personalità giuridica, sono istituiti presso l’INPS, con un apposito decreto interministeriale, che determina l’ambito di applicazione sulla base degli accordi collettivi costitutivi. Per effetto di tale decreto, quindi, l’accordo costitutivo, entro l’ambito di applicazione determinato, acquisisce efficacia erga omnes.

Ove la contrattazione collettiva non abbia provveduto a costituire fondi di solidarietà bilaterali, la legge prevede che, nei settori e per i datori di lavoro (che occupano più di 5 dipendenti) ancora esclusi da ogni tutela, debba operare l’apposito fondo a carattere residuale istituito presso lo stesso INPS, denominato fondo di integrazione salariale. Tale fondo ha il compito di provvedere ad erogare, in particolare, l’assegno di solidarietà ai dipendenti dei datori di lavoro che stipulano accordi collettivi aziendali in cui è prevista una riduzione dell’orario di lavoro per evitare o ridurre eccedenze di personale nel corso di una procedura di licenziamento collettivo o licenziamenti individuali plurimi per giustificato motivo oggettivo.

I fondi di solidarietà bilaterali, come anche il fondo di integrazione salariale, sono finanziati esclusivamente con contributi posti a carico dei soggetti che rientrano nei rispettivi ambiti di applicazione, secondo aliquote definite con apposito decreto interministeriale. Innanzitutto, è previsto un contributo ordinario – ripartito per i due terzi a carico del datore di lavoro, e per un terzo a carico del lavoratore – di importo tale da garantire la costituzione di risorse adeguate per l’attività che il fondo deve svolgere.

Inoltre, è previsto un contributo addizionale, non inferiore all’1,5% della retribuzione, soltanto per i datori di lavoro che abbiano fatto ricorso a sospensioni o riduzioni dell’attività lavorativa. Infine, un ulteriore contributo straordinario è posto a carico dei datori di lavoro nell’ipotesi di erogazione di assegni straordinari nell’ambito di procedure di incentivazione all’esodo. A tutte queste tipologia di contributi, si applica la disciplina della contribuzione previdenziale obbligatoria, fatte salve le disposizioni in materia di sgravi contributivi.

I fondi di solidarietà bilaterali, ed anche quello di integrazione salariale, sono gestiti da un comitato amministratore, nominato con decreto del Ministero del lavoro, composto, oltre che da esperti designati dalle organizzazioni sindacali, anche da due funzionari pubblici nominati dai ministeri vigilanti. Sempre per garantire il controllo pubblico, ed il coordinamento gestionale con l’INPS presso cui i fondi sono incardinati, alle riunioni del comitato amministratore devono partecipare anche il collegio sindacale dell’INPS ed il suo direttore generale, a cui è attribuito il potere di sospendere le decisioni del comitato amministratore, nell’ipotesi in cui esse siano illegittime.

Nei settori ove già esiste un sistema di bilateralità consolidato, il legislatore ha prefigurato un modello di tutela alternativo a quello base dei fondi di solidarietà bilaterali (cd. fondi di solidarietà bilaterali alternativi), preservando comunque l’autonomia dei fondi bilaterali e di quelli interprofessionali già istituiti ma imponendo agli stessi misure di adeguamento alla nuova disciplina. In ogni caso, anche nei riguardi di tali fondi, la legge ha accentuato la vigilanza pubblica, essendo demandata ad un apposito decreto interministeriale l’individuazione dei requisiti di professionalità e onorabilità dei soggetti preposti alla gestione, dei criteri per la contabilità e la sostenibilità finanziaria, nonché delle modalità per il controllo sulla gestione e il monitoraggio sull’andamento delle prestazioni.

In coerenza con l’autonomia finanziaria ed anche per tutelare gli iscritti, tutti i fondi di solidarietà bilaterali, compresi i fondi alternativi e quello di integrazione salariale, hanno l’obbligo di perseguire il pareggio di bilancio. Inoltre, è stabilito che i fondi in questione non possono erogare prestazioni in assenza di risorse, dovendo tutti gli interventi essere concessi previa costituzione di specifiche riserve finanziarie e soltanto entro i limiti delle risorse già acquisite.

 

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