È definita area internazionale dei fondi marini (AFM) la superficie sommersa situata al di là delle zone di giurisdizione nazionale delle acque territoriali e della piattaforma continentale.

Le risorse localizzate nell’Area (intendendo, per esse, le risorse minerali solide, liquide e gassose, compresi i noduli polimetallici) sono considerate «patrimonio comune dell’umanità».

Nessuno Stato può, perciò, reclamare o esercitare forme di sovranità sull’Area o sulle sue risorse, né può pretendere di sfruttare senza alcun vincolo la zona facendo ricorso ai principi che regolano l’alto mare.

L’Area è infatti aperta all’uso di tutti gli Stati.

Il compito di gestire lo sfruttamento delle risorse nell’Area è riservato esclusivamente all’Autorità internazionale dei fondi marini che si avvale, come strumento operativo, dell’Impresa internazionale dei fondi marini seguendo il sistema di sfruttamento parallelo (cosiddetto «banking system») che prevede :

l’assegnazione ad uno Stato richiedente dell’attività di prospezione, esplorazione e produzione su un sito determinato;

l’accantonamento in favore dell’ Autorità di un secondo sito, equivalente al primo dal punto di vista commerciale, individuato dallo stesso Stato richiedente al momento di sottoporre all’ Autoritài suoi progetti di lavoro;

lo sfruttamento successivo da parte dell’Autorità di tale sito riservato alla propria attività mediante l’opera dell’Impresa o mediante Joint venture con Paesi terzi o cessione dei diritti di sfruttamento, dietro corrispettivo a imprese nazionali;

l’acquisizione da parte dell’ Autorità, in vista del trasferimento all’ Impresa, della tecnologia estrattiva utilizzata dai Paesi che operano nell’Area.

In attesa che divenisse operativo il sistema di sfruttamento suindicato, era stata prevista l’istituzione di una «Preparatory Commission for the International sea-bed Authority and for the International Tribunal for the Law of the Sea» (Prepcom) costituita dagli Stati che avevano firmato o ratificato la Convenzione, avente la funzione di predisporre la normativa per regolare l’attività dell’Autorità e individuare gli Stati che potessero essere qualificati come «Investitori pionieri».

Questa espressione indica gli Stati che, avendo svolto autonomamente attività di ricerca per l’individuazione di siti minerari, dovessero essere preferiti rispetto a Stati terzi, al momento dell’entrata in vigore della Convenzione, nella concessione delle licenze per lo sfruttamento di tali siti. Sono qualificati investitori pionieri Giappone, Federazione Russa, Francia, Cina, India e Korea del Sud.

L’Italia, nel firmare la Convenzione, il 10.12.1984 aveva formulato una dichiarazione secondo cui la materia del «deep sea mining» contiene «considerevoli difetti e manchevolezze cui si deve porre rimedio mediante l’adozione da parte della Commissione preparatoria di apposite regole e procedure».

Il nostro Paese aveva anche regolamentato unilateralmente la concessione di permessi provvisori di sfruttamento di zone dell’Area a imprese nazionali con la L. 20.2.85, n.41 cui è seguito, come normativa di attuazione, il D.P.R. 11.3.1988 n. 200. Nell’ambito della conclusione di accordi volti a evitare la sovrapposizione di permessi provvisori di sfruttamento di zone dell’Area con analogo tipo di licenze rilasciate da altri Paesi al di fuori del sistema previsto dalla Convenzione, l’Italia aveva stipulato una intesa («Provisional Understanding» del 3.8.1984) con Belgio, Francia, Germania, Olanda, Gran Bretagna, e Stati Uniti. cui era seguito, in data 14.8.1987, un analogo accordo con Unione Sovietica, Olanda, Canada e Belgio. La posizione degli Stati Uniti nei confronti della normativa sullo sfruttamento dei fondi marini era di non accettazione, ritenendosi che le soluzioni previste dalla Convenzione «fossero contrarie agli interessi e ai principi delle Nazioni industrializzate».

Il regime ivi previsto era considerato ispirato a principi di dirigismo economico (relativamente soprattutto al carattere burocratico e antieconomico dell’Impresa e al trasferimento obbligatorio alla stessa Impresa della tecnologia estrattiva utilizzata dai Paesi che operano nell’Area). Il punto di vista degli Stati Uniti, i quali ritenevano tra l’altro che non fosse garantita ai Paesi industrializzati un’influenza sulle future decisioni dell’Autorità adeguata ai loro interessi e che si rifiutavano perciò di accedere alla Convenzione, era condiviso da Gran Bretagna e Germania.

Tale situazione è cambiata nel momento in cui gli Stati Uniti hanno deciso di aderire all’Accordo relativo all’applicazione della Parte XI della Convenzione del Diritto del Mare, con Annessi, adottato a New York il 28 luglio 1994 che, sulla base di un approccio evolutivo di deregulation e di privatizzazione, riconfigura il regime di sfruttamento dei fondi marini secondo principi di economia di mercato, rinviando a una futura decisione l’attivazione dell’ Impresa che, comunque, dovrà autofinanziarsi.

Sono inoltre equiparati agli investitori pionieri i consorzi di Stati Uniti, Germania e Gran Bretagna che operano in siti di sfruttamento minerario già autorizzati unilateralmente dai rispettivi Paesi.

La competenza per la soluzione delle controversie sui fondi marini è demandata al Tribunale internazionale del diritto del mare.

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