Nella legislazione ordinaria, la disposizione centrale del sistema delle fonti in materia di retribuzione è l’art. 2099, secondo il quale la determinazione della misura della retribuzione è rimessa alle norme corporative, all’accordo fra le parti oppure, in mancanza, al giudice. Vi sono poi numerose disposizioni che prevedono varie forme di trattamenti retributivi, la determinazione dei quali è rimessa, implicitamente o esplicitamente, ai contratti collettivi (es. 2109, 2110). Il rinvio al contratto collettivo, quindi, rappresenta il vero snodo del sistema:

  • contratto collettivo nazionale.
  • contratto collettivo territoriale/ aziendale, che ricopre un ruolo centrale in tema di negoziazione della retribuzione variabile.
  • contratto individuale (c.d. superminimi).

La complessità di tale assetto di fonti si ripercuote sulla meno complessa struttura della retribuzione, la quale, non rappresentando un concetto unitario prevede:

  • un nucleo centrale costituito dalla retribuzione base,
  • una molteplicità di trattamenti accessoriche, a loro volta, possono essere:
    • previsti dalla legge (es. retribuzione feriale, trattamento di malattia).
    • previsti dai contratti collettivi (es. indennità di mensa).

In giurisprudenza, tuttavia, si è posto il problema di come computare tali trattamenti. Dal momento che non esiste una retribuzione unica, si oscilla tra due posizioni:

  • se per il computo di ciascuna voce retributiva si debbano considerare tutte le altre voci normalmente percepite dal lavoratore, applicando così una nozione unitaria di retribuzione.
  • se ciascun istituto retributivo debba essere considerato a parte, dovendosi lasciare la libera determinazione della base di computo del medesimo al contratto collettivo che lo abbia disciplinato.

Tale diatriba ha effetti pratici molto precisi, dal momento che più si amplia la base di computo, maggiore è l’importo finale della retribuzione. La risposta della giurisprudenza è stata che, di massima, la competenza a modulare la base di computo di ciascun istituto retributivo spetta al contratto collettivo, rimanendo quindi da interpretare le formule da esso utilizzate. Qualora però la legge stessa si pronunci sulla base di computo di un certo istituto, rispetto ad essa il contratto collettivo non può prevedere una base più ristretta, ostandovi il principio di inderogabilità in peius. Tale pronunciamento legale può essere:

  • esplicito, come nell’art. 2121, il quale afferma che per calcolare l’indennità sostitutiva del preavviso occorre considerare ogni compenso continuativo.
  • implicito, come nell’art. 2109, il quale si limita a stabilire che le ferie sono retribuite , senza precisare cosa si intenda, in qual caso, per retribuzione.

In questo ed altri casi (es. malattia) la libertà di determinazione del contratto collettivo deve intendersi limitata dal doveroso rispetto della funzione dell’istituto legale, che sarebbe palesemente vanificato laddove il lavoratore venisse a patire un’eccessiva contrazione del livello retributivo.

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