Altre ipotesi di invalidità del licenziamento

Riprendiamo quanto detto al punto “L’art. 18 dello Statuto: la tutela reale.”

La Corte Costituzionale ha ricordato che quest’articolo ha una forza espansiva perché si applica anche a tutte le ipotesi di invalidità ed inefficacia. Si può dire che l’art.18 ha unificato tutte le ipotesi ed inefficacia del licenziamento sotto il profilo del trattamento sanzionatorio.

Tuttavia è applicabile solo entro precisi limiti dimensionali, al di sotto dei quali i meccanismi sanzionatori divergono. L’art. 8 della 604 prevede, infatti, che la tutela obbligatoria si applichi solo nel caso di licenziamento intimato senza giusta causa o motivo.

Essendo il licenziamento discriminatorio “sempre ed in ogni caso” punito con la reintegrazione nel posto di lavoro, resta, quindi, aperto il problema con riferimento alle ipotesi:

di nullità del licenziamento della lavoratrice madre (e del lavoratore padre); del licenziamento motivato dalla domanda o dalla fruizione di congedi per motivi di cura familiare o di formazione; l licenziamento per causa di matrimonio. In questi casi, tanto nell’area della tutela obbligatoria quanto in quella della libera recedibilità, gli effetti sono quelli comuni di diritto privato: l’illegittimità del licenziamento darà vita alla sua nullità, da cui deriverà la continuità giuridica del rapporto “ex tunc” e si potrà configurare una situazione di “mora credendi” del datore di lavoro;

del licenziamento inefficace (che secondo l’art. 2 della 604 non produce alcun effetto, quindi nullo secondo l’orientamento maggioritario) per mancanza di rispetto delle formalità . La legge 108 del 1990 ha introdotto un obbligo di comunicazione in forma scritta del licenziamento anche del dirigente, per cui le regole dovrebbero valere anche per l’area della libera recedibilità (esclusivamente in questo caso e per ciò che attiene al requisito della forma scritta)

dei licenziamenti disciplinari illegittimi in violazione delle garanzie procedurali previste dall’art. 7 Statuto. Questi sono considerati dalla giurisprudenza equiparabili al licenziamento ingiustificato e l’art. 8 è direttamente applicabile nell’area della tutela obbligatoria, mentre nell’area della libera recedibilità sarà dovuta esclusivamente l’indennità di mancato preavviso.

 

Le organizzazioni di tendenza

L’art. 4 della legge 108 del ’90 definendo organizzazioni di tendenza quelle organizzazioni che perseguono fini ideologici, esclude l’applicabilità dell’art. 18 Statuto, anche dove ne ricorrano i requisiti dimensionali, ai datori di lavoro non imprenditori che svolgono, senza fini di lucro, attività di natura politica, sindacale, culturale, di istruzione, ovvero di religione o di culto. Da tale esclusione si deve dunque dedurre la tutela obbligatoria per i dipendenti da tali organizzazioni (salvo che non siano, come sappiamo, lavoratori in prova, dirigenti o lavoratori anziani in età pensionabile).

La disposizione ha lasciato irrisolte le questioni relative al licenziamento nelle organizzazioni di tendenza, così come ha sottratto dall’obbligo della reintegrazione organizzazioni che non sono di tendenza, ma semplicemente senza fini di lucro.

 

Il tentativo obbligatorio di conciliazione

L’art. 5 della 108 del ’90 introduce tale obbligo, da esperirsi in sede amministrativa, come condizione di procedibilità della domanda giudiziale di accertamento dell’illegittimità del licenziamento.

In difetto di tale presupposto, il giudice, rilevata l’improcedibilità della domanda, sospende il giudizio e fissa un termine non superiore a 60 giorni per la proposizione della richiesta del tentativo di riconciliazione. L’intera questione va oggi riconsiderata alla luce dell’introduzione del D. Lgs. 80 del 1998 (modificato dal D. Lgs. n. 387 del 1998) che prevede l’obbligatorietà del tentativo per tutte le controversie di lavoro.

 

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