Le ipotesi di nullità del licenziamento

È’ nullo il licenziamento adottato per motivo discriminatorio (al quale va ricondotto anche quello per ritorsione), per causa di matrimonio e quello delle lavoratrici madri (e dei lavoratori padri).

L’art. 4 della legge 604 del ’66 stabilisce che i licenziamenti determinati da “ragioni politiche, religiose e sindacali” sono nulli, “indipendentemente dalla motivazione adottata”.

L’art. 15 Statuto contempla anche le ragioni di “sesso, razza e lingua”.

L’art. 3 della legge 108 del 1990 stabilisce che, nei casi di discriminazione, è sempre applicabile la tutela reale (reintegrazione nel posto di lavoro).

La legge sancisce la nullità del licenziamento per causa di matrimonio intimato dal giorno della pubblicazione del matrimonio fino ad un anno dopo la celebrazione dello stesso. Nulle sono anche le dimissioni presentate in questo periodo, a meno che la lavoratrice non le confermi entro un mese alla Direzione provinciale del lavoro. Infine, nullo è anche il licenziamento nei riguardi delle lavoratrici madri o lavoratori padri che abbiano fatto richiesta di congedi per motivi di cura familiare o di formazione.

 

La forma del negozio di licenziamento

La legge impone al licenziamento un ulteriore limite, che attiene alla forma con il quale il potere viene esercitato.

L’art. 2 della 604 stabilisce che il licenziamento sia comunicato in forma scritta. Non è obbligatoria la comunicazione delle motivazioni, ma, qualora il lavoratore ne faccia richiesta entro quindici giorni, il datore dovrà specificarle entro sette giorni, per 2 motivi:

Spesso è poco opportuno rendere pubblici “certi” motivi;

Il lavoratore deve conoscerli pienamente per poter impugnare, in propria difesa, il provvedimento.

La sanzione è in ogni caso l’inefficacia del licenziamento, intesa in questo caso quale nullità.

 

L’impugnazione del licenziamento e il termine di decadenza. L’onere della prova

L’art. 5 della L. n. 604 rimuove i dubbi sulla determinazione della parte su cui grava l’onere della prova: “spetta al datore”.

Egli dovrà provare i fatti che giustificano il recesso, mentre il lavoratore sarà tenuto a dimostrare i fatti costitutivi del proprio diritto alla stabilità del rapporto e dunque della tutela reale o obbligatoria.

L’art. 6 della L. n. 604 disciplina, poi, l’impugnazione del licenziamento da parte del lavoratore.

Diversamente dai classici negozi invalidi, per i quali ci può essere l’impugnazione solo con proposta giudiziale, l’impugnazione del licenziamento può avvenire anche in modo stragiudiziale, cioè anche con semplice comunicazione scritta al datore di lavoro e anche attraverso l’intervento del sindacato.

La decadenza di tale diritto è stabilità nel limite di 60 giorni dalla comunicazione del licenziamento, ovvero dei motivi dello stesso, se successiva.

 

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