I sostenitori della cosiddetta struttura gerarchica degli ordinamenti statali teorizzano appunto la necessaria esistenza di fonti sopraordinate alle altre. Le fonti di rango superiore, collocate sul gradino più alto della scala gerarchica, sono cioè condizionanti nei riguardi delle fonti inferiori, per le quali determinano sia l’autorità competente ad emanarle, sia le procedure da seguire; laddove le fonti di rango inferiore, per contro, ne risultano condizionate, in quanto tenute a rispettarne le prescrizioni, di carattere procedurale e sostanziale.

Al vertice del sistema dovrebbe porsi sempre la costituzione, concepita come fonte primaria delle norme sulla normazione. Ma un simile assunto non trova riscontro negli ordinamenti statali in cui vigano costituzioni di tipo flessibile; e tale era il caso dello statuto Albertino, al pari della maggioranza delle costituzioni del secolo scorso.

Fonti primarie dell’ordinamento statuario erano dunque le leggi, senza alcuna distinzione interna alla categoria; mentre i regolamenti si ponevano come fonti secondarie, quand’anche le norme da questi dettate stabilissero una disciplina di carattere indipendente, non condizionata da una specifica legislazione formale. La chiave per esprimere e sintetizzare questa supremazia consisteva nella cosiddetta forza di legge. Per forza di legge si intende cioè la tipica “capacità di innovare nell’ordine legislativo” che spetta alle norme dettate dalle leggi formali. Nei sistemi di tipo statutario si diceva che la legge formale fosse dotata di un’incondizionata forza attiva.

D’altro lato, la legge medesima era contraddistinta da una forza passiva peculiare, consistente nella sua capacità di resistere all’abrogazione da parte delle fonti subordinate. Strumento fondamentale di eliminazione delle antinomie è appunto l’abrogazione. Quanto ai regolamenti che contrastino con le leggi precedenti, spetta ai giudici amministrativi disporre l’annullamento, al pari che per ogni altro atto illegittimo delle pubbliche amministrazioni. Quanto alle consuetudini contra legem, occorre invece effettuarne la disapplicazione. Sennonché lo strumento abrogativo rimane quello utilizzabile con maggiore frequenza.

Tre sono i fattori dell’effetto abrogativo, così previsti dalle preleggi. All’abrogazione espressa, prodotta da uno specifico disposto, vanno cioè contrapposte due specie di abrogazione tacita. Ma il linguaggio in questione non è condiviso da tutti, giacché l’abrogazione tacita viene talvolta riferita alle sole ipotesi d’incompatibilità fra le norme legislative sopravvenute e quelle antecedenti; mentre nelle varie ipotesi di ridisciplina dell’intera materia, vi è chi ragiona di un’abrogazione implicita.

Nel primo caso l’abrogazione costituisce il frutto di una clausola abrogativa, che identifica le norme abrogate facendo puntuale riferimento alle corrispettive disposizioni. Per contro, nel secondo e nel terzo caso, il verificarsi dell’abrogazione e l’estensione di essa formano l’oggetto di questioni interpretative, che vanno risolte da parte dei giudici competenti in materia. Inversamente in tutte le ipotesi in cui tali opzioni competano agli interpreti si deve ragionare di abrogazione tacita (od implicita).

A prima vista potrebbe sembrare che l’abrogazione debba essere distintamente definita come un atto o come un fatto giuridico. Ma in ogni caso ciò che ne risulta è un comune effetto abrogativo: “l’abrogazione non tanto estingue le norme, quanto piuttosto ne delimita la sfera materiale di efficacia”.

Quanto al fondamento dell’abrogazione esso non andava e non va ricercato nella maggior forza degli atti sopravvenienti gli uni agli altri; sicché, per spiegare gli effetti abrogativi che continuamente si danno in tal senso, non si deve ricorrere al criterio gerarchico, bensì al cosiddetto criterio cronologico.

L’abrogazione delle leggi precedenti è imposta appunto dall’inesauribilità della legislazione, vale a dire dall’ovvia ed incontestata esigenza che lo spazio spettante alle scelte legislative non si riduca progressivamente a causa delle scelte già effettuate. In realtà le leggi formali non possono autoattribuirsi un’efficacia diversa da quanto è peculiare del tipo al quale appartengono.

 

 

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