L’art. 60 secondo comma Cost., statuendo che “la durata di che la durata di ciascuna camera non può essere prorogata se non per legge e soltanto in caso di guerra”, sottopone la proroga a due condizioni: l’una di carattere formale, consistente nella riserva delle relative decisioni alle leggi ordinarie; l’altra sostanziale, rappresentata dalla previa o contemporanea delibera dello stato di guerra. Nel nostro ordinamento, cioè, le camere sono organi permanenti tanto in relazione ai loro lavori, quanto in relazione alla loro esistenza. Riferito all’attività parlamentare, il principio di continuità si concreta nella previsione costituzionale di riunioni di diritto ed in via straordinaria: le une potrebbero effettuarsi anche indipendentemente dalla convocazione ad opera del presidente di ciascuna camera; mentre le altre presuppongono che l’iniziativa della convocazione sia presa dallo stesso presidente o da un terzo dei componenti dell’assemblea oppure dal capo dello stato. Dal momento che ciascuna camera organizza normalmente i propri lavori programmandoli in base ad un certo calendario, quando termina un periodo di attività si può addivenire al c.d. aggiornamento, che consiste in una breve sospensione dei lavori con l’indicazione della prossima data di riunione dell’assemblea. Il potere di riunione in via straordinaria compete comunque al Presidente di ciascuna Camera. Quanto al principio di continuità dell’esistenza, esso trova il suo presupposto nella previsione che le nuove Camere vengano elette entro settanta giorni dalla fine delle Camere uscenti. La portata dei poteri prorogati viene fatta coincidere con la pienezza di tutti i poteri già spettanti alle camere nel corso del quinquennio. Secondo un’altra tesi, le camere che agiscono in regime di prorogatio sono invece scadute; e pertanto è ridotta l’ampiezza dei compiti da esse esplicabili. Prevalentemente è preferibile , tuttavia, un’opinione intermedia, per cui l’ordinaria amministrazione della quale si ragiona in questa sede non va intesa alla lettera, ma anzi si risolve nel suo contrario. Nel periodo della loro prorogatio, le camere non deliberano altro che in circostanze straordinarie, allorché si renda necessario provvedere d’urgenza. Ma la circostanza che le attribuzioni della camere cessate non si prestino ad essere definite se non sulla base di “parametri largamente discrezionali”, induce a ritenere che i limiti in discussione non siano suscettibili di essere fatti valere da organi estranei alle camere. Del resto se si considera che nel corso della prorogatio i parlamentari sono comunemente impegnati nella campagna elettorale, si comprende ancor meglio il perché le camere si riuniscano nei soli casi in cui si tratti di esercitare funzioni di straordinaria amministrazione. Riferito all’esistenza delle camere il principio di continuità non si presta, per altro, ad essere applicato incondizionatamente. In particolare, esso non significa che le nuove camere debbano continuare i lavori già iniziati dalle camere precedenti. La circostanza che la funzione legislativa debba essere esercitata “collettivamente” e che la riunione di una camere in via straordinaria comporti la convocazione di diritto dell’altra, rafforza infatti l’idea che i due rami del parlamento siano tenuti a lavorare in tandem. Essendo necessaria la riapprovazione da parte della nuova camera, non è dunque sufficiente che il senato neoeletto approvi a sua volta il progetto di legge già approvato dalla camera scaduta. Analoghi criteri valgono anche per ciò che riguarda le sorti del governo in carica nel periodo elettorale, che secondo una prassi ormai costante rassegna le proprie dimissioni all’atto stesso della costituzione del nuovo parlamento: ed effettivamente non sarebbe in armonia con il sistema, poiché le nuove camere devono essere completamente libere, e non impacciate dalla presenza di un gabinetto ancora in carica.