Quanto al grado della consuetudine costituzionale nell’ordinamento italiano, un punto fermo è costituito dalla negazione della possibilità che le norme suddette possono abrogare norme formalmente costituzionali tale limitazione deriva dal fatto che possono essere modificate soltanto dalle leggi approvate con il medesimo procedimento dell’articolo 138. E si sostiene inoltre che le consuetudini costituzionali avrebbero il medesimo rango dei principi costituzionali ai quali afferiscono e determinerebbero, pertanto l’illegittimità costituzionale di eventuali leggi ordinarie che le volessero vietare.

Una volta ammesso che tali consuetudini possono operare soltanto nei limiti dell’esecuzione, dell’integrazione e dell’interpretazione delle disposizioni formalmente costituzionali, non si vede per quale motivo il legislatore ordinario non posso intervenire successivamente per adottare una diversa disciplina in ordine all’esecuzione, integrazione e interpretazione delle stesse.

In realtà l’esecuzione e l’integrazione di una disposizione formalmente costituzionale attiene al carattere dei parametricità che tali norme vengono in tal modo ad assumere, ai fini di un eventuale giudizio di legittimità costituzionale nei confronti di successive leggi o atti con forza di legge con esso eventualmente contrastanti oppure che volessero introdurre nuove disposizioni apparentemente di nuova istituzione o integrazione, ma in realtà contrastanti con la disposizione costituzionale alla quale si riferiscono: la loro violazione costituisce infatti violazione diretta della disposizione costituzionale che eseguono o che integrano.

La corte costituzionale con le sentenze nn. 129 del 1981 e 7 del 1996 ha ammesso le consuetudini costituzionali tra le norme parametro del giudizio sui conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato. Consuetudini costituzionali che la corte definisce come quei principi o regole non scritte manifestatesi e consolidatisi attraverso la ripetizione costante di comportamenti uniformi, tendenti in armonia con il sistema costituzionale ad integrare le norme costituzionali scritte.

Le convenzioni costituzionali.

Le convenzioni costituzionali sono quegli accordi, taciti o espressi che intervengono a livello istituzionale tra soggetti politici per regolamentare determinate fattispecie.

Le convenzioni costituzionali non determinano la nascita di norme giuridiche non tanto perché non è previsto alcun procedimento di formazione al riguardo quanto perché sono gli stessi soggetti che nel momento in cui si raggiungono un determinato accordo non vogliono creare norme giuridiche ma soltanto stabilire degli impegni politici che, per loro natura, possono essere disattesi in qualsiasi momento, fatta salva la necessità di sopportarne le conseguenze politiche.

La distinzione tra convenzioni e consuetudini costituzionali

Il criterio per riconoscere una convenzione costituzionale da una consuetudine costituzionale è abbastanza semplice, perché l’accordo nel quale si risolve una convenzione costituzionale ha effetto immediato e ciò significa che mentre la nascita delle regole della regola politica scaturente da una convenzione costituzionale è di tipo istantaneo, la nascita di una norma consuetudinaria è di tipo graduale in relazione al consolidarsi nel tempo di un comportamento uniforme e costante.

La trasformazione di una convenzione costituzionale in consuetudine costituzionale può affermarsi quando la ripetizione della regola convenzionale da parte dei soggetti che l’avevano posta in essere permane, anche il caso in cui è mutata la situazione politica e il rapporto di forza tra i soggetti i quali avrebbero potuto discostarsene

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