La struttura del parlamento può essere indagata analizzando i tre principi fondamentali che la informano: il principio bicamerale, il principio di continuità ed il principio di autonomia. Quanto al fondamento giustificativo del bicameralismo, si deve anzitutto osservare che talora la sua adozione risulta imposta dalla logica interna di determinati ordinamenti, talaltra può soltanto essere opportuna.

Ricorre la prima ipotesi nel caso degli stati federali nei quali l’istanza centralistica si contrappone all’istanza federalistica; sicché devono esistere una rappresentanza di ciascuno stato membro accanto ad una rappresentanza del popolo complessivo dello stato centrale.

Più in generale il bicameralismo si impone allorché all’interno dello stesso ordinamento coesistano istanza divergenti, ciascuna della quali richieda di essere singolarmente rappresentata in parlamento. In altri paese la scelta del principio bicamerale è dettata soltanto da considerazioni di opportunità per lo più di ordine politico. Tale è stato sicuramente il caso dell’Italia.

Si devono comunque distinguere i regimi a bicameralismo perfetto, proprio di quegli stati nel quali le camere sono assolutamente parificate per funzioni e per prerogative, dai sistemi a bicameralismo imperfetto, nei quali la volontà dell’uno dei due rami del parlamento finisce col prevalere in caso di dissenso. S’intende perciò quali siano i motivi che hanno indotto una gran parte delle costituzioni del mondo occidentale ad optare per la prima anziché la seconda soluzione. Entrambi i rami del parlamento sono stati concepiti come assemblee politiche rappresentative del corpo elettorale; ma i costituenti ne hanno diversificato la composizione, la durata e il sistema di elezione.

Circa la composizione basti ricordare che l’età minima per essere eleggibili a deputati o senatori consiste rispettivamente nell’aver compiuto il venticinquesimo anno di età ed il quarantesimo anno di età; d’altro lato, che il numero dei deputati è pari al doppio di quello dei senatori elettivi (630 contro 315), anche se a questi ultimi si aggiungono alcuni senatori a vita.

Circa la durata del senato, essa avrebbe dovuto essere di sei anni, contro i cinque spettanti alla camera dei deputati, ma il condizionale è qui indispensabile, perché un tale criterio distintivo non è mai divenuto operante in Italia.

Circa le modalità delle elezioni, la costituzione si limita a diversificare la composizione dei due corpi elettorali, disponendo che gli elettori del senato devono aver superato il venticinquesimo anno di età e che il senato dev’essere eletto a base regionale.

Di tutti questi caratteri differenziatori, i più significativi avrebbero comunque dovuto consistere nella diversa durata e nel diverso congegno di elezione. Ed effettivamente, se l’iniziale programma della costituente fosse stato attuato sotto entrambi questi aspetti, si sarebbe senz’altro evitato di ridurre la seconda camera a un doppione della prima.

Viceversa la norma costituzionale sulla diversa durata del senato fu dapprima elusa, quando nel 1953 e nel 1958, avvicinandosi la cessazione della camera dei deputati, il presidente della repubblica sciolse anticipatamente il senato stesso, su sollecitazione di alcune parti politiche; e quindi fu anche formalmente abrogata dalla legge costituzionale del 9 febbraio 1963, che ha fissato in cinque anni il periodi di vita di ambedue i rami del parlamento.

 

 

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