In seno al governo, tutti i ministri si trovano su di un piano di perfetta parità formale: tanto è vero che ad ognuno di essi, quand’anche non disponga di alcun “portafoglio”, spetta un voto deliberativo nel consiglio. È stata di recente prevista la possibilità che il presidente del consiglio, quanto all’esercizio delle sue funzioni, venga coadiuvato da un consiglio di gabinetto, composto dai ministri da lui designati. L’ordinamento costituzionale del governo ha invece subito una serie di notevoli alterazioni, per effetto del formarsi dei comitati interministeriali. Con questa denominazione si suole qualificare un complesso di veri e propri organi governativi collegiali.

Nel 1965 viene pertanto creato il Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE), quale organo sopraordinato agli altri comitati ed ai singoli ministri competenti all’attuazione del programma. D’altra parte la legge del ’67 ha contribuito ad attenuare le critiche di ordine giuridico, sovente mosse dai costituzionalisti e dagli amministrativisti al precedente sistema dei comitati di ministri.

La dottrina prevalente riteneva invece che i comitati fossero dotati di competenze nuove rispetto a quelle esercitate individualmente dai ministri: cioè di competenze tipicamente collegiali sfocianti più volte nell’adozione di atti dotati di esterno rilievo, produttivi di effetti nei confronti dei cittadini interessati. Proprio in questa luce diventava difficile ricostruire i rapporti fra i comitati interministeriali e le tre componenti necessarie del governo in termini compatibili con i disposti costituzionali.

Quanto al presidente del consiglio, si sosteneva bensì che il suo potere-dovere di coordinamento di tutta l’azione governativa trovava riscontro nel fatto che le leggi istitutive dei vari comitati gli attribuivano generalmente la presidenza dei collegi stessi.

Quanto al consiglio dei ministri, si affermava che la centralità della suo posizione poteva comunque venire a mantenuta mediante un opportuno esercizio del suo potere di direttiva nei confronti dei diversi comitati. Quanto infine ai ministri non si poteva fare a meno di notare come fossero privilegiati coloro che ne restavano esclusi. La legge n. 48 del ’67 ha cercato invece di risolvere una buona parte se non la totalità di questi problemi, configurando un armonico sistema di rapporti, entro il quale i comitati potessero trovare la loro giusta collocazione.

Parrebbe pertanto che il sistema sia stato strutturato su tre piani distinti, avendo per vertice il consiglio dei ministri, che prende le decisioni politiche di fondo; mentre in secondo piano si trovano le pubbliche amministrazioni in genere, ivi compresi gli altri comitati come il CICR ed il CIP. Ma l’edificio previsto dal legislatore non si è compiutamente realizzato, essendo venuto a mancare il suo fondamentale presupposto: ossia la politica di programmazione economica globale.

 

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