La posizione del lavoratore nell’impresa, una volta acquisita, si autonomizza e ha un contenuto più complesso di quello che corrisponde alla posizione derivata dal contratto. Basti pensare a quella serie di diritti attribuiti sotto il titolo della libertà sindacale che gli vengono riconosciuti. L’inserzione e questa nuova posizione del lavoratore non sono l’effetto immediato del contratto ma di un diverso atto, l’atto di preposizione. Sulla base di questo atto il lavoratore viene ad assumere una certa qualifica da cui non solo discende la sua posizione nella scala gerarchica e i suoi poteri nell’ambito dell’impresa, ma dipende altresì una posizione personale che non si esaurisce in quella contrattuale. Ogni lavoratore subordinato ha necessariamente una qualifica che in linea di principio corrisponde a quella prevista nel contratto. Questa coincidenza non è necessaria perché l’imprenditore può destinarlo a mansioni diverse della stessa qualifica o superiori. Dirigente (lavoratore con poteri di gestione), quadro (funzioni di rilevante importanza per attuare obiettivi dell’impresa con carattere continuativo), impiegato (collaborazione attuata nell’ambito dell’attività di organizzazione), operaio (collaborazione nel potere esecutivo) e apprendista (contratto di tirocinio). La inserzione del lavoratore nell’organizzazione dell’impresa con una determinata qualifica importa necessariamente da un lato una posizione di subordinazione rispetto all’imprenditore (il quale da le direttive fondamentali),dall’altro l’attribuzione di una posizione gerarchica nell’ambito di coloro che collaborano con l’imprenditore con mansioni diverse, superiori o inferiori, a quelle attribuite al lavoratore; dall’altro l’applicabilità nei suoi confronti delle norme tecniche e delle eventuali sanzioni disciplinari per la mancata osservanza di esse; infine l’obbligo di fedeltà del lavoratore.

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