Una figura speciale di comunione di impresa, cioè un’impresa collettiva senza autonomia patrimoniale, è stata per legge introdotta dalla riforma di famiglia del 1975.

In base all’art. 177, lett. d), formano oggetto della comunione legale fra coniugi anche le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio, detta azienda o impresa coniugale.

L’impresa coniugale è un’impresa collettiva e nulla vieta ai coniugi di costituire una società per il relativo esercizio. Nel silenzio è applicabile il regime della comunione familiare, sia per quanto riguarda la gestione dell’impresa comune, sia per quanto riguarda il regime patrimoniale.

L’applicazione della disciplina della comunione familiare comporta che i creditori di impresa potranno soddisfarsi su tutti i beni della comunione, ma alla pari con gli altri creditori della comunione e senza avere alcun diritto di preferenza rispetto ai creditori della comunione sui beni aziendali, art. 186.

Inoltre, i creditori d’impresa possono aggredire il patrimonio personale di ciascun coniuge, ma solo se i beni della comunione non sono sufficienti a soddisfare i debiti gravanti sulla stessa, art. 190.

I creditori personali del singolo coniuge possono soddisfarsi direttamente anche sui beni della comunione legale e, quindi, anche sui beni aziendali. Tale diritto è però loro riconosciuto solo fino al valore corrispondente alla quota del coniuge loro debitore e purché i beni personali di questo non siano sufficienti a soddisfarli, art. 189, 2° comma.

Infine, è prevista una disciplina speciale per lo scioglimento della comunione aziendale, art. 191, diversa da quella della società.

Nel caso di impresa coniugale si è in presenza di un’impresa collettiva il cui esercizio non dà vita alla formazione di un patrimonio autonomo e il cui regime non è quello né della comunione, né quello della società di fatto.

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