Il fallimento ha inizio con un provvedimento del giudice, dichiarato con sentenza (considerata pronuncia di accertamento costitutivo). L’ iniziativa è del debitore e dei creditori. Il debitore che non vi provvede corre rischio anche di sanzioni penali. La dichiarazione di fallimento rappresenta l’ esito di un’ istruttoria cd. Prefallimentare. Il tribunale, su istanza di parte, è legittimato ad emettere provvedimenti cautelari o conservativi a tutela dell’ impresa. Il fallimento dell’ impresa cessata può essere dichiarata entro un anno. La sentenza nomina gli organi fallimentari, ordina al fallito il deposito dei bilanci e delle scritture contabili nonchè dell’ elenco dei creditori entro 3 gg, assegna termine ai creditori per presentare domanda di ammissione, stabilisce luogo e data per l’ adunanza destinata all’ esame dello stato passivo.

La sentenza produce la generalità dei suoi effetti dalla pubblicazione mediante deposito in cancelleria, salvo quelli nei confronti dei terzi, che invece decorrono a partire dall’ iscrizione nel registro delle imprese. Comporta per l’ imprenditore fallito l’ obbligo di consegnare al curatore la corrispondenza relativa ai rappresentanti compresi nel fallimento e di comunicare ogni cambiamento di residenza o di domicilio, e soprattutto la perdita dell’ amministrazione e della disponibilità dei suoi beni, il cd. spossessamento. Il curatore ha altresì la rappresentanza processuale del fallito. Contro la sentenza dichiarativa di fallimento può essere presentato reclamo entro 30 gg. Preposto tale reclamo, la corte d’ appello è legittimata a sospendere la liquidazione dell’ attivo. Momenti essenziali della procedura fallimentare sono:

  1. l’ accertamento del passivo, dove si hanno in sequenza la predisposizione di un elenco dei creditori da parte del curatore; le domande di ammissione da parte dei creditori con conseguente loro insinuazione nello stato passivo del fallimento; la formazione del progetto di stato passivo ad opera del curatore; la verifica dello stesso in un confronto coi creditori; le opposizioni tramite ricorso dei creditori esclusi o ammessi con riserva o insinuatisi in ritardo e queste ultime presentabili entro 12 mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo e che avranno peso solo nei confronti delle attività ancora non distribuite, e le impugnazioni nei confronti dell’ accoglimento della domanda di altri creditori.
  2. l’ accertamento dell’ attivo;
  3. l’ amministrazione dell’ attivo, che ammette anche l’ affitto in blocco della azienda del fallito, e pendente la quale si assiste alla formazione di una classe di creditore, cd. della massa;
  4. liquidazione dell’ attivo, da effettuarsi preferibilmente tramite la vendita dell’ intero complesso aziendale, di suoi rami, di beni o rappresentanti giuridici individuabili in blocco;
  5. la sua distribuzione.

Entro 30gg dalla sentenza il giudice delegato nomina il comitato dei creditori, composto da 3 a 5 membri scelti tra i creditori in modo da rappresentare in misura equilibrata quantità e qualità dei crediti. Il comitato vigila sull’ operato del curatore, ne autorizza gli atti, può ottenere dal giudice la cessazione dell’ esercizio provvisorio dell’ impresa, approva il programma di liquidazione. Il parere del comitato non è meramente consultivo, spesso invece il suo giudizio risulta determinante nell’ equilibrio stabilito dalla legge e la sua iniziativa vincolante per chi poi deve formalmente pronunziarsi. Il comitato ed ogni componente possono ispezionare in qualunque tempo le scritture contabili e i documenti della procedura ed hanno dir di chiedere notizie e chiarimenti al curatore e al fallito, con conseguente loro qualifica come residual owners, in luogo dei soci o del soggetto fallito. La responsabilità dei membri del comitato è regolata dall’ art. 2407 c.c., co. 1 e 3, che disciplina la responsablità dei sindaci di s.p.a.

Il curatore è nominato dal tribunale nella sentenza dichiarativa del fallimento: nell’ adunanza per l’ esame dello stato passivo i creditori che rappresentano la maggioranza dei crediti ammessi possono peraltro chiederne la sostituzione. Il precetto esalta il rapporto fiduciario che deve correre fra curatore e ceto creditorio e l’ auctoritas riconosciuta a quest’ ultimo nell’ equilibrio che il legislatore ha ritenuto ottimale. Il curatore ha l’ amministrazione del patrimonio fallimentare e compie tutte le operazioni della procedura sotto la vigilanza del giudice delegato e del comitato dei creditori, nell’ ambito delle funzioni ad essi attribuiti. La curatela resta di responsabilità personale. In buona sostanza, siamo davanti ad un manager, non competente esclusivo della gestione dell’ impresa in crisi ma solo competente operativo in un contesto dove gli atti significativi esigono preventiva autorizzazione dai o consenso dei diretti interessati. E’ una via di mezzo fra un ufficio pubblico ed uno privato.

La riforma ha posto particolare attenzione alla conservazione e alla valorizzazione dell’ impresa come going concern. La preoccupazione di tutela del going concern davanti a circostanze sicuramente traumatiche è particolarmente evidente nella disciplina dell’ esercizio provvisorio dell’ impresa. Il tribunale può disporre l’ esercizio provvisorio dell’ impresa, anche limitatamente a specifici rami d’ azienda, se dall’ interruzione può derivare un danno grave, e purchè non arrechi pregiudizio ai creditori. Alla proposta di continuazione temporanea è come detto legittimato il curatore, “previo parere favorevole del comitato dei creditori”, venendo così attribuito ai creditori una sorta di diritto di veto alla persistenza dell’ alea d’ impresa nel contesto di tutela delle loro ragioni.

L’ attenzione per l’ attività d’ impresa si rafforza ancora con la disciplina dell’ affitto dell’ azienda o di rami d’ azienda. E’ prevista la attribuzione convenzionale del diritto di prelazione all’ affittuario, su autorizzazione del giudice delegato e sempre previo parere favorevole del comitato dei creditori. La responsabilità per i debiti maturati nell’ esercizio dell’ impresa fino all’ eventuale retrocessione dell’ azienda o del ramo d’ azienda non torna al fallimento, ma resta in capo a chi, come affittuario, ha esercitato l’ attività d’ impresa. Può aggiungersi che la vendita dell’ intero complesso aziendale, tramite procedure competitive, risulta privilegiata. Solo quando sia prevedibile che siffatta ipotesi di lavoro non consenta una maggiore soddisfazione dei creditori va infatti disposta la liquidazione dei singoli beni.

L’ attenzione per l’ attività d’ impresa si rafforza infine col programma di liquidazione che il curatore deve predisporre e sottoporre all’ approvazione del comitato dei creditori entro 60 gg dalla redazione dell’ inventario. Il programma approvato è comunicato al giudice delegato che autorizza l’ esecuzione degli atti ad esso conformi. Il comitato dei creditori può proporre modifiche al programma. Il curatore può presentare un supplemento di programma. Il fallimento si chiude, per decreto del tribunale, su istanza del fallito, del creditore o d’ ufficio: una volta avvenuta l’ estinzione di tutti i debiti, quando non vi siano domande tempestive di ammissione di crediti al passivo del fallimento; quando vi sia insufficienza dell’ attivo per continuare utilmente nella procedura; o infine quando divenga definitivo il decreto di omologazione della proposta di concordato fallimentare, presentata dal fallito, da uno dei creditori o da un terzo e approvata dai creditori chirografari col voto favorevole della maggioranza dei creditori ammessi.

Se la votazione ha avuto esito favorevole, il proponente richiede l’ omologazione del concordato al tribunale, il quale provvede dopo aver deciso sulle opposizioni eventualmente proposte dai creditori dissenzienti. Il fallimento può essere riaperto, in conseguenza della risoluzione o annullamento del concordato fallimentare, o quando sopravvengono nel patrimonio del fallito attività in misura tale da rendere utile il provvedimento o se il fallito offre garanzie di pagare almeno il 10% dei crediti vecchi e nuovi. Il fallito persona fisica può chiedere al tribunale il beneficio della esdebitazione, cioè la liberazione dai debiti residui nei confronti dei creditori concorsuali non soddisfatti. Gli effetti dell’ esdebitazione si producono nei confronti di tutti i creditori anteriori al fallimento, anche di quelli che non hanno presentato la domanda di ammissione al passivo.

Restano invece salvi i diritti dei creditori nei confronti di coobligati, dei fideiussori del fallito e degli obbligati in via di regresso. Ovviamente il fallito persona fisica deve essere meritevole. I vantaggi dell’ esdebitazione dovrebbero invitare alla confessione spontanea dell’ insolvenza e così ad accelerare il raggiungimento dell’ obiettivo primario, che non è la condanna del bancarrottiere ma la liberazione della ricchezza da un investimento negativo per consentirne l’ investimento in iniziative migliori, idonee a produrre nuova ricchezza.

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