Oltre che per concordato fallimentare, il fallimento si chiude per una delle seguenti cause:
mancata presentazione di domande di ammissione allo stato passivo nel termine stabilito nella sentenza che dichiara il fallimento;
pagamento integrale dei creditori ammessi al passivo e di tutti i debiti e le spese da soddisfare in prededuzione prima che sia compiuta la ripartizione integrale dell’attivo;
ripartizione integrale dell’attivo;
impossibilità di continuare utilmente la procedura per insufficienza dell’attivo.
La chiusura del fallimento è dichiarata con decreto motivato del tribunale, su istanza del curatore, pubblicato nelle forme previste per la sentenza dichiarativa di fallimento ed è impugnabile con reclamo dinnanzi alla corte d’appello (successivamente in Cassazione). Il decreto ha effetto quando non è impugnabile per scadenza dei termini (o quando il reclamo è stato definitivamente rigettato). Con la chiusura del fallimento decadono gli organi preposti alla procedura e cessano gli effetti del fallimento (sia per il fallito che per i creditori).
La liberazione del fallito dai debiti residui può aversi solo in due casi:
a) quando il fallimento si chiude per concordato;
b) quando il debitore ottiene l’esdebitazione dal tribunale fallimentare.
Quest’ultimo è un beneficio concesso al fallito persona fisica (non dunque alle società o imprenditori collettivi) in presenza di particolari condizioni soggettive ed oggettive:
che gli imprenditori siano meritevoli per aver svolto in modo corretto la propria attività ed abbiano collaborato durante la procedura fallimentare;
che nei 10 anni precedenti non abbiano beneficiato di altra esdebitazione:
il loro fallimento abbia consentito il soddisfacimento almeno parziale dei creditori concorsuali;
che non abbiano distratti l’attivo o esposto debiti inesistenti;
che non siano stati condannati per bancarotta fraudolenta.
Tale beneficio non opera per tutti i debiti: gli obblighi di mantenimento e alimentari e le obbligazioni derivanti da rapporti estranei all’esercizio dell’impresa, ne sono esclusi.
Il fallimento chiuso per ripartizione integrale o per insufficienza dell’attivo può essere successivamente riaperto nei seguenti casi:
non devono essere trascorsi cinque anni dal decreto di chiusura;
nel patrimonio del fallito si rinvengono nuove attività (preesistenti o sopravvenute) che rendono utile la riapertura.