Il declino di una tradizione

Occorre accantonare la tentazione di credere che le materie in cui è sezionato lo studio del diritto rappresentino settori indipendenti e autonomi. La sede materiale di una norma non è indice rivelatore di qualche sua particolare caratteristica.

La distinzione tra pubblico e privato può attecchire in modo diverso quando l’aggettivo “pubblico” non riguarda un settore degli interessi regolati, ma riguarda i soggetti e i beni. Qui il carattere pubblico può generare un diverso regime giuridico.

Certo, quella tra diritto pubblico e diritto privato è una demarcazione che va affievolendosi. In effetti, anche i privati possono svolgere attività pubbliche mediante concessioni o assumendo direttamente la gestione di interessi generali: ciò è corroborato dal principio di sussidiarietà sociale (art.118 comma 4 Cost).

Resta, solo peculiarità del rapporto pubblicistico, la sovraordinazione come espressione della potestà. In sintesi, il pubblico si esprime col provvedimento, il privato con l’accordo.

 

Pubblico come inderogabile. I livelli della disciplina.

Ma la parità astratta, l’eguaglianza giuridica, deve fare i conti con le diseguaglianze di fatto. Per il civilista contemporaneo l’espressione significativa di questa esigenza è data dalla protezione di consumatori ed utenti, e dalla disciplina dei relativi contratti, ora affidata ad un testo unico, il codice del consumo. Ma l’espressione più saliente, l’archetipo del fenomeno, è nel diritto del lavoro la cui rilevanza è tale da aver configurato una branca autonoma del diritto civile.

Il pubblico rappresenta l’ingerenza dello Stato e delle amministrazioni pubbliche nelle attività private. Esso attecchisce nel privato mediante le norme inderogabili. L’interesse pubblico, dunque, esprime l’esigenza dell’inderogabilità; pubblico diviene sinonimo di inderogabile.

Il punto è che, quando si tratta di regolare quegli interessi che i privati gestiscono con atti di autonomia, il diritto sussidia l’autonomia privata, e interviene là dove occorre presidiare interessi ritenuti preminenti e per colmare le lacune dell’autoregolamentazione dei privati.

La produzione di disposizioni inderogabili si è abbassata alla normativa secondaria: molte norme cogenti sono poste da atti amministrativi normativi, dettati da autorità amministrative indipendenti. Anche questa è una forma di sussidiarietà, che sta su un piano diverso da quelle, tradizioni, definite istituzionale e sociale. In altri termini, qui è la legge a sussidiare l’autonomia privata quando determinati interessi lo richiedono.

 

Inderogabilità de relato. Ordine pubblico e buon costume. Dal buon costume alla dignità della persona.

La questione di maggior interesse si pone là dove mancano le norme che espressamente pongono un regime inderogabile.

E’ tema ampiamente vagliato dai civilisti quello della giustizia contrattuale, con ciò intendendo l’esigenza che il contratto realizzi un assetto di interessi giusto. Qui il perseguimento dell’equilibrio contrattuale è affidato alle norme inderogabili, che costituiscono il primo parametro della giustizia contrattuale.

Un approdo più recente impiega la buona fede come espressione della solidarietà (art. 2 Cost.) per censurare determinati assetti di interessi, ed in particolare la compatibilità di clausole con il contesto negoziale in cui vengono inserite.

Quando l’inderogabilità viene veicolata attraverso norme elastiche si apre il varco ad un ventaglio di applicazioni potenzialmente illimitato. Occorre però constatare che, nel complesso, l’impiego della buona fede come parametro valutativo della validità di clausole è stato praticato dalla giurisprudenza con sobrietà.

Il problema è rilevante, e risalente, dinanzi all’ordine pubblico ed al buon costume. Essi costituiscono parametri di un’inderogabilità che non è espressamente sancita.

L’atto dispositivo che collide con il primo è nullo; per la collisione col buon costume vige una deroga all’irrepetibilità dell’indebito: da qui l’esigenza di distinguere illiceità da immoralità. Questa regola è tratta dall’art.2035 c.c. (prestazione contraria al buon costume), il cui regime è stato esteso recentemente anche al versamento di danaro per una finalità truffaldina o corruttiva perché tali finalità, certamente contrarie a norme imperative, sono da ritenere anche contrarie al buon costume.

 

Uffici di diritto privato

Anche sul terreno privatistico si configurano attività funzionali. In questi uffici di diritto privato si annidano munera che perseguono mediatamente interessi collettivi: si allude, ad esempio, al curatore dell’eredità giacente.

Dagli uffici di diritto privato nascono poi incapacità speciali in ragione delle funzioni (si pensi all’art.1471 c.c. : divieti speciali di comprare).

 

Gli status: lo status come effetto negoziale

Un altro versante in cui la prospettiva pubblico-privato viene in rilievo è quello degli status privatistici, che rispecchiano segmenti del diritto privato impregnati di profili pubblicistici.

Ci sono status che derivano dai fatti, come lo stato di figlio, e status che derivano da atti negoziali, come quello di coniuge. Ciò induce a chiederci se, quando deriva da un atto di autonomia, lo status sia realmente qualcosa di diverso da qualsiasi effetto negoziale destinato a rilevare erga omnes.

La constatazione che il matrimonio non sia definito come un contratto non modifica la questione. Questo deve far riflettere sulle scelte normative in tema di unioni tra persone dello stesso sesso. Il dibattito in proposito presupponeva una demarcazione di fondo: scelte basate sul contratto, dunque con effetti circoscritti alle parti ed un regime di maggiore libertà; scelte affidate allo status, cioè ad un modello para-patrimoniale. In sintesi: privatistica la prima, pubblicistica la seconda.

La recente normativa italiana è nel senso dello status. Vuol dire che ne derivano, per previsione legale, diritti a favore dei membri dell’unione civile. Ma questi effetti, in sé, sono qualcosa di diverso da quelli che la legge può collegare a qualsiasi contratto?

Il matrimonio, l’unione civile, non sono altro che atti di autonomia privata da cui derivano particolari effetti giuridici tra le parti e rispetto ai terzi. Questo fenomeno, tradizionalmente, si chiama status; ma non si configura una differenza radicale tra lo status e l’effetto inderogabile di un atto di autonomia privata. In definitiva lo status è plasmato dall’inderogabilità degli effetti.

 

Sussidiarietà sociale

Nel principio di sussidiarietà sociale (art.118 comma 4 Cost) si annida un riconoscimento privilegiato dell’autonomia privata, che induce ad un ridimensionamento del rapporto con la sfera pubblica.

Da quel principio scaturisce l’esigenza di privilegiare gli strumenti di risoluzione delle controversie alternativi alla giustizia ordinaria, optando, nel dubbio, per la competenza arbitrale, giacché la decisione di controversie costituisce senz’altro un’attività di interesse generale.

La norma inderogabile non rappresenta un’ascia sull’autonomia privata, ma lo strumento per perseguire od impedire determinati fini, sicché va applicata in chiave teleologica e proporzionata agli interessi che presidia. Il principio di sussidiarietà sociale corrobora questa prospettiva perché porta a ritenere che l’inderogabilità opera solo quando è necessario.

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