L’integrazione è un istituto giuridico diretto ad integrare le lacune che si presentano nel regolamento negoziale.

La regola di fondo dell’integrazione prevede che il contratto obbliga le parti non solo a quanto è nel medesimo espresso ma anche a tutte le conseguenze che ne derivano secondo la legge o, in mancanza, secondo gli usi e l’equità.

Altra fonte di integrazione del contratto, cui si riconosce particolare rilevanza, è la buona fede.

L’integrazione può essere cogente o suppletiva.

L’integrazione è cogente quando determina coattivamente il rapporto contrattuale nonostante una diversa volontà delle parti.

L’integrazione è suppletiva quando determina il contenuto del rapporto contrattuale in mancanza di una diversa previsione delle parti.

Di conseguenza l’effetto integrativo si verifica non soltanto in presenza di una lacuna negoziale ma anche nei casi in cui la legge prevede l’inderogabilità di alcune disposizioni, poste a presidio di interessi generali o dell’ordine pubblico.

L’integrazione dei contratto, sia essa cogente o suppletiva, incide su un rapporto che rimane pur sempre di natura contrattuale, perché ha sempre la sua fonte costitutiva nell’atto di autonomia delle parti; anche se questa autonomia delle parti, per taluni aspetti, risulta limitata dalle disposizioni integrate.

Giova ricordare qui che l’integrazione si differenzia radicalmente dall’interpretazione del contratto in quanto: quest’ultima ha per fine quello di chiarire il significato delle disposizioni negoziali usate dalle parti (mediante l’applicazione di particolari regole predeterminate dal codice), l’integrazione è, invece, diretta ad applicare al contratto una disciplina di provenienza aliena, ossia non voluta dalle parti.

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