La buona fede costituisce fonte primaria di integrazione del contratto.

Il principio di buona fede è richiamato numerose volte nell’ambito della disciplina generale del contratto: ad es. le parti devono comportarsi secondo buona fede già nelle trattative, è richiamata come criterio di interpretazione ed esecuzione del contratto ed ora anche come fonte di integrazione della stessa regolamentazione contrattuale.

Invero, il ruolo della buona fede quale fonte di integrazione del contratto emerge proprio dall’art.1375 inmateria di esecuzione di buona fede.

In tema di esecuzione del contratto la buona fede assume significato di buona fede in senso oggettivo o correttezza. Cioè si atteggia ad un generale dovere di correttezza e di lealtà, che impone a ciascuna parte di tenere quei comportamenti che, a prescindere da specifici obblighi contrattuali, siano idonei a preservare gli interessi dell’altra parte.

La buona fede nel nostro ordinamento, come già evidenziato, rappresenta la fonte primaria di integrazione del rapporto in quanto essa rappresenta uno dei principi cardine del nostro ordinamento sociale (proprio perché essa comporta un obbligo di solidarietà sociale).

Tuttavia, non mancano orientamenti secondo i quali la buona fede non può essere considerata fonte di integrazione del contratto; per i teorici di questa tesi riduttiva la buona fede non integrerebbe il rapporto ma varrebbe solo a correggere, ad attenuare il rigoroso giudizio di formale conformità del comportamento alla legge.

In questa corrente di pensiero emerge una netta tendenza a svalutare il dovere di buona fede giungendo, addirittura, a negare che si tratti di un autonomo obbligo giuridico. Questa tendenza trae spunto dal convincimento che la norma sulla buona fede sarebbe priva di un reale contenuto.

La buona fede invece, precisa il Bianca, è pur sempre una regola obiettiva che concorre a determinare il comportamento dovuto, sebbene a differenza di altre regole la buona fede non impone un comportamento a contenuto prestabilito, essa è piuttosto una clausola generale che richiede comportamenti diversi, positivi od omissivi, in relazione alle concrete circostanze di attuazione del rapporto.

Quindi, ad una tesi che tende a sminuire il fondamento giuridico del principio di buona fede se ne contrappone un’altra che, al contrario, esalta questo principio definendolo come uno dei cardini della disciplina legale delle obbligazioni.

A questo punto occorre chiarire che cosa si deve intendere per buona fede o correttezza. Infatti, i continui riferimenti al senso di solidarietà sociale, all’onestà, alla schiettezza e alla diligente correttezza sono equivoci ora eccessivamente generici.

Il tentativo dottrinario di dare al precetto di buona fede il contenuto dei principi generali dell’ordinamento o più specificamente dei principi costituzionali [come l’obbligo di solidarietà sociale] non ha sortito alcun risultato concreto in quanto il precetto è rimasta una formula in bianco, non sufficientemente determinata e quindi scarsamente utilizzabile come criterio di condotta e di decisione.

L’esigenza di ricercare una nozione operativa, avente un reale valore pratico ha indotto la dottrina a delimitare il concetto di buona fede riportandolo ai termini della realtà che si impone ai partecipi di un particolare rapporto che si specifica come rispetto del reciproco affidamento. In questo senso la buona fede non risulta essere soltanto una generica solidarietà nei confronti dei propri simili ma rappresenta la specifica lealtà che si impone tra due individui legati da un vincolo di natura particolare. Si tratta di rapporti patrimoniali che, anche quando non si siano ancora tradotti in un preciso impegno (come nel caso delle trattative), esigono comunque il rispetto degli reciproco affidamento.

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