A) Il tempo
Il tempo in cui la prestazione deve essere eseguita può risultare da accordo espresso delle parti (1183 comma 1). Se il contratto non contiene clausole relative al termine, non è escluso che il momento in cui la prestazione deve essere eseguita possa ricostruirsi in base all’interpretazione complessiva del titolo: in tal caso, il termine non è fissato in maniera esplicita ma trova pur sempre la sua fonte nell’autoregolamento privato.

Può darsi inoltre che un termine sia richiesto dalla struttura legale del rapporto quale risulta già dal suo schema tipico e dalla funzione pratica a cui è orientato. Si distinguono i casi in cui il tempo dell’adempimento è imposto da altre regole, che pure rilevano oggettivamente. Tali sono le ipotesi degli usi normativi (1374) o delle clausole d’uso (1340), a cui il codice fa espresso riferimento là dove menziona genericamente gli usi (1183 comma 1).

Quando non sia possibile accertare il termine sulla base dei dati disponibili, il creditore può esigere immediatamente la prestazione (quod sine die debetur statim debetur). Ma di fatto spesso accade che la prestazione abbia natura particolarmente difficile o complessa o che le modalità di luogo e di esecuzione possano essere tali da imporre un’opportuna dilazione.

E’ possibile allora che le parti si accordino sul differimento. Se ciò non avviene, la legge attribuisce al giudice il compito di determinare, con pronuncia costitutiva, il termine congruo, anche indipendente da una espressa richiesta delle parti quando risulti il loro disaccordo sul tempo dell’adempimento. Il potere del giudice si manifesta nel contenere entro limiti ragionevoli il principio generale dell’immediata esigibilità della prestazione senza termine.

La determinazione giudiziale del termine dovrebbe avvenire prima dell’adempimento e fungere da criterio di valutazione della esattezza della prestazione, ma l’attesa della sentenza esecutiva del giudice o, addirittura, il suo passaggio in giudicato, potrebbe essere troppo lunga; si è pertanto approvata l’interpretazione favorevole all’esercizio della pretesa del creditore indipendentemente dalla preventiva fissazione giudiziale; il giudice stesso valuterà in seguito il comportamento del creditore che non abbia osservato un termine ragionevole.

L’intervento del giudice con pronuncia costitutiva può rendersi necessario anche quando le parti abbiano fatto riferimento al termine ma ne abbiano lasciato la determinazione alla volontà del debitore o a quella del creditore; e costoro indugino a provvedere (1183 comma 2). Sembra ormai costante la tendenza a considerare senz’altro inadempiente il debitore, anche nel caso in cui il termine sia rimesso alla sua volontà, qualora, al momento della richiesta, sia già decorso un congruo intervallo temporale, ovvero vi sia incompatibilità con la natura della prestazione o si accerti un’inequivoca volontà di non adempiere.

Una clausola del tipo cum potuerit fu prevista in un caso che si presta in maniera esemplare a dedicare un cenno al problema dell’ammissibilità dell’intervento costitutivo del giudice, se la parte obbligata sia costituita dalla pubblica amministrazione.

La letteratura è divisa: vi è chi ammette l’intervento del giudice soltanto sulla base dell’art. 1183 comma 1 e con la prudenza richiesta sull’apprezzamento dei bisogni pubblici; altri è favorevole a una piena applicazione delle disposizioni del codice civile. Se il termine è convenzionalmente fissato, occorre distinguere tra le ipotesi in cui sia posto a favore del debitore, ovvero, con patto espresso, sia rimesso a favore del creditore o di entrambi.

Quando il termine è a favore del debitore, la conseguenza fondamentale è costituita dall’inesigibilità della prestazione prima della scadenza: l’obbligo è sorto, ma il creditore non può ancora pretendere l’adempimento. Il termine è un limite all’esercizio del diritto, seppure la richiesta possa avere effetto ora per allora. Inoltre si ammette che il creditore possa compiere atti conservati o agire per l’accertamento del suo diritto.

Le conseguenze sono molto importanti: non soltanto il debitore può liberarsi prima della scadenza, ma, quand’anche egli paghi prima per errore, ossia senza rendersi conto che non è scaduto il termine posto a suo favore, del pagamento non può essere pretesa la restituzione in base alla disciplina della ripetizione dell’indebito. Il pagamento, in quanto dovuto, estingue il rapporto.

L’errore offre al debitore soltanto la possibilità di esperire il rimedio dell’arricchimento ingiustificato, che ha presupposti diversi ed è limitato all’interusurium, ossia alla differenza, se mai vi sia, tra il valore della prestazione anticipata e il valore che la prestazione avrebbe avuto se fosse stata eseguita alla scadenza prevista (1185 comma 2). L’ipotesi, di rara applicazione e di difficile prova, quasi non sembra avere riscontri in giurisprudenza.

Il debitore può perdere il beneficio del termine nei casi previsti dalla legge; e il creditore, in tal caso, può esigere la prestazione senza attendere la scadenza. Le ipotesi hanno a fondamento giustificativo il sopravvenire di fatti tali da accentuare il rischio che il creditore resti insoddisfatto; e quindi si riferiscono: alla condizione patrimoniale complessiva del debitore; alle garanzie vere e proprie, che il debitore abbia promesso o dato. Tre sono i casi di decadenza dal beneficio del termine:

  • la garanzia generica (insolvenza del debitore);
  • garanzie speciali 1186 (diminuzione delle garanzie date; mancata concessione delle garanzie promesse).

Il creditore può esigere immediatamente la prestazione se il debitore è divenuto insolvente, senza una previa pronuncia costitutiva del giudice. Di minore rilievo sono gli altri due casi in cui si richiede la colpa del debitore. Il concetto di diminuzione delle garanzie per fatto imputabile al debitore presuppone che quest’ultimo sia tenuto a prestare o a ricostruire una garanzia specifica secondo il parametro della sicurezza del creditore.

Quando il termine è posto a favore del creditore o di entrambe le parti del rapporto, non sorgono problemi particolari (1184). Nel primo caso il debitore non può adempiere prima della scadenza; il creditore può anche esigere subito la prestazione. Se il termine è posto a favore di entrambe le parti, l’applicazione contestuale di regole opposte può provocare una sorta di rigidità del termine.

Se il termine non è determinato a data fissa bensì con riguardo a intervalli convenzionali di tempo si seguono, ai fini del computo, del momento iniziale e del momento finale, i criteri dettati dagli art. 1187 e 2963: non si tiene anche qui conto del giorno iniziale e si dà invece rilievo all’ultimo istante del giorno finale, con proroga automatica al giorno non festivo successivo se la scadenza si ha in un giorno festivo; inoltre, il termine a mesi comporta che la scadenza si abbia nel giorno corrispondente a quello del termine iniziale.

 

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