Di tre ordini sono le ipotesi di incedibilità del diritto: per natura strettamente personale del credito; per specifico divieto legale; per patto tra creditore e debitore. Della seconda categoria accorre ricordare i diritti sui quali sia sorta contestazione davanti all’autorità giudiziaria (crediti litigiosi), ove la cessione venga disposta a favore di soggetti che fanno parte dell’autorità giudiziaria o che in tale area giurisdizionale esercitano la loro funzione (avvocati). Questi ultimi sono soggetti a un divieto di carattere ancor più generale: non possono, neppure per interposta persona, stipulare con i loro clienti alcun patto relativo ai beni che formano oggetto delle controversie affidate al loro patrocinio (patto di quota-lite).

I divieti relativi ai diritti litigiosi non si applicano in due ordini di ipotesi: quando la cessione riguardi una controversia tra coeredi e si riferisca alle azioni ereditarie tra costoro; quando la cessione sia diretta ad estinguere un debito o infine sia fatta per difesa di beni posseduti dal cessionario. Si tratta di eccezioni su cui non si è formata una sia pur minima casistica. I divieti di cui all’art. 1261 sono applicazioni specifiche dell’indirizzo generale seguito nei confronti dei rappresentanti legali dei minori con riguardo ai diritti di questi ultimi, nonché con riguardo alle categorie indicate all’art. 1471.

Gli altri divieti legali espressamente previsti dall’ordinamento si giustificano in virtù di finalità sociali legate a quel carattere strettamente personale che già sarebbe sufficiente a escluderne la cedibilità, anche nel difetto di una previsione puntuale: tipica è l’ipotesi del credito alimentare. Diverso fondamento hanno i divieti di carattere volontario.

Il patto che esclude la cedibilità del credito, per un verso, non è sottoposto ai limiti fissati per legge con riguardo al divieto di alienazione; per un altro, fermo il principio generale dell’efficacia ristretta alle parti, può essere opposto al cessionario, se il debitore prova che costui sapeva dell’esistenza della pattuita incedibilità al tempo della cessione. Per espressa previsione normativa, la trasgressione dei divieti legali di cessione comporta le conseguenze della nullità e dei danni (1261 comma 1).

Vi è chi interpreta la disciplina nel senso della nullità relativa ovvero chi propende per una semplice inefficacia. Si tratta di costruzioni non giustificate dal tenore della disciplina legale; e concettualmente opinabili, oltre che scarsamente significative, soprattutto la seconda, nei riflessi pratici.

L’oggetto del trasferimento è in tutto o in parte una cessione del credito. Cedibile, in virtù di un’interpretazione estensiva, è l’aspettativa, in quanto situazione giuridica già esistente nella sfera giuridica del cedente. Poiché il credito acquistato sotto condizione sospensiva è soltanto eventuale, la cessione si riferirà non già al credito, ma alla posizione che è suscettibile di trasformarsi in un diritto di tale natura.

Anche nel caso del credito futuro, il diritto non esiste al momento della cessione, ma in tale ipotesi non si ha l’immediato trasferimento di una situazione giuridica: l’effetto della cessione si produrrà soltanto se e quando il credito verrà ad esistenza in capo al cedente. Il problema più grave si riferisce alle conseguenze della cessione di un credito che risulti essere in realtà inesistente: in assoluto ovvero soltanto nel patrimonio giuridico del cedente. Può darsi che il diritto non sia sorto o che sia estinto.

Manca l’oggetto stesso della cessione, che, secondo un’opinione molto discussa, dovrebbe essere nulla, secondo le regole generali in materia di contratto. Sembra invece che la disciplina speciale preveda che il cedente all’atto della cessione debba soltanto garantire che il credito esista (nomen verum). Come in ogni altro caso di violazione della garanzia, non si avrebbe la nullità del contratto, ma un obbligo di risarcimento del danno a carico del cedente.

Tra il cedente e il cessionario l’effetto traslativo è immediato quale conseguenza dell’accordo tra di loro, anche senza il consenso del debitore (1260 comma 1); nei confronti dei terzi a cui il medesimo credito sia stato ceduto o su cui sia stato costituito usufrutto o pegno l’effetto prevalente non è individuato in base al criterio cronologico ma in base al criterio dell’anteriorità della notificazione o dell’accettazione della cessione: tra due cessioni successive la legge dà preminenza non già alla cessione di data anteriore bensì a quella che in data anteriore certa è stata accettata dal debitore ceduto ovvero al medesimo è stata notificata (1256).

L’aspetto più discusso si riferisce alla difficoltà di conciliare l’effetto immediato della cessione tra le parti con l’inefficacia della stessa nei confronti del debitore ceduto che sia all’oscuro della cessione. Prevale l’opinione che dopo la cessione, anche se non vi sia stata conoscenza, accettazione o notifica, egli sia debitore nei confronti del cessionario. Non si avrebbe contraddizione alcuna: l’effetto traslativo sarebbe immediato anche nei confronti del debitore. Il pagamento al cessionario sarebbe liberatorio in quanto dovuto, sebbene la cessione non sia stata accettata né notificata.

Altri afferma nondimeno che il cessionario non potrebbe pretendere di essere pagato, se il debitore fosse ignaro della cessione. Inoltre per espressa previsione normativa, il pagamento eseguito, sempre in buona fede, al cedente è liberatorio (1264 comma 1 e 2). Ma la pretesa inefficacia nei confronti del debitore ceduto non comporterebbe, anche per costoro, un difetto di titolarità del credito.

Si avrebbe piuttosto un limite legale all’esercizio del diritto. La prevalenza della cessione notificata per prima al debitore ceduto o da questi accettata per prima con atto di data certa, ancorché la cessione sia di data posteriore, non presuppone che la cessione sia efficace per terzi soltanto in seguito all’accettazione, alla notifica e più in generale all’effettiva conoscenza del debitore ceduto.

Come avviene in altre ipotesi in cui gli interessi degli aventi causa siano in conflitto, il criterio dettato dalla legge non comporta l’originaria esclusione dell’efficacia del trasferimento consensuale di per sé considerato, ma corrisponde a una scelta legislativa diretta a dare prevalenza a uno schema complesso che resta all’esterno del meccanismo traslativo in quanto tale. Le nozione di accettazione e di notificazione della cessione devono essere interpretate secondo una direttiva che sia compatibile con il fondamento della disciplina legale.

 

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