Nelle impostazioni ispirate ad ideologie valoristiche fa capolino la riserva che il denaro, in quanto strumento di scambio, debba essere merce dotata di valore, tale appunto da garantire nei contratti un principio di equivalenza delle prestazioni. È l’ottica canonica e tardo medioevale che si contrappone al nominalismo del diritto romano e al “valor imposus” del sistema feudale e nella quale il denaro sarà quello di metallo i cui pezzi monetari sono composti. Di qui la distinzione tra mensura e mensuratum. Improponibili nei tempi più vicini concezioni metalliste, le dottrine valoristiche hanno via via fatto riferimento al valore corrente del denaro, cosicché l’obbligazione dovrà assicurare al creditore lo stesso valore che aveva la somma dovuta al tempo del contratto.

Ma tornando al problema che ci occupa, non si è tanto lontani dal vero se si scorge nell’indirizzo favorevole ad una considerazione della svalutazione quale danno subito dal creditore per il peggioramento della cosa, del quale quindi il debitore moroso deve sopportare le conseguenze, un revival di tesi valoristiche, riaffioranti sul terreno dell’inadempimento di obbligazioni pecuniarie. E la critica va esercitata in questa direzione confrontandosi ancora una volta teorie valoristiche e nominalistiche.

L’interprete incontra sulla sua strada forme di concreta risposta che danno gli ordinamenti positivi al fenomeno dei pagamenti tardivi e dei danni conseguenti. Si è già detto come la tesi secondo cui questo problema sarebbe inesistente, dacché al posto dell’obbligazione pecuniaria inadempiuta subentrerebbe autonoma obbligazione risarcitoria è tesi che la Cassazione ha provveduto a confutare. Questa tradizione è, tendenzialmente, in favore della liquidazione dei danni da mora in termini esaustivi dell’attribuzione di interessi. lo scopo perseguito è di evitare contestazioni a non finire tra debitori e creditori in ordine all’uso che il creditore avrebbe compiuto dalla somma dovuta, ove ricevuta puntualmente. Anomalo si può considerare il caso italiano.

Mentre il codice del 1865 aveva pedissequamente seguito il modello francese nell’escludere che il creditore, oltre il pagamento di interessi, potesse richiedere il risarcimento del danno(art. 1231 codice del ’65), il codice del ’42 ha scelto una via di mezzo tra il modello francese e quello tedesco, disponendo che il creditore può anche richiedere il risarcimento del maggior danno, ove ne dia la prova (art. 1224 comma 2). Lo stesso art. 288 del BGB si può leggere che il debito di denaro durante la mora produce interessi nella misura del quattro per cento e che la richiesta del risarcimento del danno ulteriore non è esclusa.

Dottrina e giurisprudenza hanno utilizzato il varco aperto dal legislatore del 1942 per affermare il principio che anche la svalutazione monetaria può ritenersi un’ipotesi di maggior danno, ove essa naturalmente sia di entità tale da non risultare coperta dal pagamento degli interessi al tasso legale purché il creditore dia la prova che vi è un nesso di causalità tra il pagamento tardivo e il danno da svalutazione. Questo indirizzo giurisprudenziale non è isolato. A tale modello sembra che si sia ispirata la pronuncia della Cassazione (5760 del 1978) la cui portata si è inteso ora limitare, la quale ha ritenuto che il danno da svalutazione possa presumersi e cioè non abbia bisogno di prova riguardante la concreta incidenza della svalutazione sul patrimonio del singolo creditore.

Tra un modello, come quello tedesco degli anni ’20, di rivalutazione giudiziale dei crediti e quello di rivalutazione legale, si collocano modelli misti alla stregua dei quali è la legge a conferire ai giudici il potere di procedere alla rivalutazione di crediti deprezzati. A tale modello sembra ispirarsi quello introdotto dal legislatore italiano con le nuove norme sul processo del lavoro (art. 429 c.p.c.). Il modello cui è sembrato ispirarsi la ormai nota sentenza della Cassazione 5670 del ’78 è quello di forma di rivalutazione giudiziale dei crediti deprezzati, il cui fondamento sarebbe da ricercare non già nel generale diritto dei contratti ma nei principi sulla responsabilità contrattuale per i danni.

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