Tra i modi di estinzione diversi dall’adempimento è ricompresa anche l’impossibilità sopravvenuta non imputabile quando sia totale e definitiva (1256-1259). All’impossibilità è equiparata per legge l’ipotesi dello smarrimento della cosa, ove non possa esserne provato il perimento (1257 comma 1). L’effetto estintivo totale (1256) è escluso quando l’impossibilità sia parziale. Si ha inoltre esonero da responsabilità per il ritardo per il tempo in cui l’impossibilità perdura, se l’impossibilità sia temporanea (1256), salvo che si protragga a tal punto da escludere che sia ancora doverosa o utile per il creditore.

Oltre che totale e definitiva l’impossibilità deve essere oggettiva e relativa: due caratteri che non sono espressamente contemplati nella legge, ma sembrano desumibili da un’approfondita ricostruzione dell’intero sistema. La relatività della nozione di impossibilità trova conferma con riguardo alla disciplina dell’impossibilità temporanea (1256 comma 2). Finché perdura l’impossibilità, il debitore non è responsabile del ritardo nell’inadempimento ma di norma non si produce l’effetto estintivo.

Il protrarsi dell’impossibilità, quand’anche non escluda una possibilità sopravvenuta può ugualmente condurre all’estinzione dell’obbligazione. Ma diventa decisiva a tal fine non già l’astratta nozione di impossibilità bensì la concreta valutazione degli interessi contrapposti, i quali, per espressa previsione normativa, devono essere considerati in relazione al titolo dell’obbligazione e alla natura dell’oggetto.

Tale nozione di impossibilità trova conferma sia nella disposizione che alla stessa equipara lo smarrimento di cosa determinata, ove non sia dato provarne il perimento, sia nell’altra che consente di procedere, in caso di un ritrovamento successivo, alla valutazione degli interessi del creditore e del debitore in base al singolo rapporto. La norma ha trovato applicazione nell’ipotesi del furto. Sembra consolidarsi l’indirizzo diretto a imporre al debitore, in base al titolo del rapporto, la prova di aver adottato tutte le misure idonee a prevenirlo.

L’impossibilità parziale modifica il rapporto. Il debitore è ancora obbligato, ma si libera eseguendo la prestazione per la parte che è rimasta possibile. Tale disposizione, che si applica anche nelle ipotesi di deterioramento della cosa determinata o di un suo perimento non totale, presuppone: che l’impossibilità parziale non sia imputabile a colpa del debitore; che sia possibile e attuale la prestazione residua. In caso di impossibilità parziale, se la prestazione non è unita a un’altra da un nesso di corrispettività, il creditore non può rifiutare l’adempimento parziale, per deroga legale espressa alla regola generale.

Come si è premesso, deve tenersi conto dell’ipotesi in cui la prestazione sia unita ad un’altra da un nesso di corrispettività. In tale caso l’obbligazione può estinguersi se il creditore, il quale non abbia un apprezzabile interesse a un adempimento parziale decida di sciogliersi dal rapporto contrattuale: ossia non eserciti il diritto alla corrispondente riduzione della controprestazione, ma si avvalga della singolare facoltà di recesso che gli è per legge attribuita.

L’impossibilità totale, nei contratti con prestazioni corrispettive e con efficacia obbligatoria, comporta che il debitore liberato non possa pretendere la controprestazione e, se l’abbia ricevuta, debba restituirla secondo le regole della ripetizione dell’indebito. La disciplina dell’impossibilità totale o parziale deve coordinarsi con le disposizioni in materia di “mora del creditore”: se l’impossibilità non imputabile sopravviene dopo la costituzione in mora, il creditore deve eseguire ugualmente la prestazione da lui dovuta o non può pretendere la restituzione di quella che già abbia posto in essere.

L’estinzione dell’obbligazione per impossibilità sopravvenuta sacrifica l’interesse del creditore, il quale di mora sopporta il rischio degli eventi fortuiti (res perit creditori). Se la prestazione che abbia per oggetto una cosa determinata diventa impossibile per un fatto imputabile a un terzo, la legge prevede che il creditore subentri nei diritti vantati dal debitore nei confronti del terzo, in dipendenza del fatto che ha causato l’impossibilità (1259).

L’ipotesi esemplare è costituita dal subingresso nelle pretese di carattere risarcitorio. Anzi, se il terzo abbia già provveduto a risarcire il danno, il creditore può pretendere che il debitore riversi a lui quel che il debitore stesso abbia conseguito a un tale titolo. Nei sistemi come il nostro che si ispirano al principio dell’efficacia traslativa del consenso (1376) la norma ha una limitata sfera di applicazione.

Deve nondimeno ricordarsi che l’ambito di rilevanza dell’art. 1259 è oggetto di discussione. La possibilità di un’applicazione analogica non sembra preclusa in linea di principio, poiché l’opinione del carattere eccezionale della norma è per molti versi discutibile. Ove la prestazione impossibile sia contrattualmente unita a un’altra da un nesso di corrispettività, la regola dell’art. 1259 deve essere coordinata con la disciplina della risoluzione del contratto per impossibilità sopravvenuta. La parte che si avvalga dell’art. 1259 non vanterà alcuna azione o alcuna eccezione con riguardo alla prestazione che già abbia eseguito o che ancora debba eseguire. Altrimenti si applicherà in via esclusiva la disciplina degli art. 1463.

 

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