La mora credendi del datore di lavoro

La sospensione del rapporto di lavoro può verificarsi per fatti dipendenti dal datore di lavoro, a seguito o della sospensione dell’attività produttiva o della sospensione dell’attività aziendale, dipendenti da fatti riconducibili, direttamente od indirettamente, all’organizzazione produttiva dell’impresa e tali da determinare la oggettiva impossibilità temporanea della prestazione lavorativa L’obbligazione retributiva, essendo di regola pecuniaria, è sempre possibile. Tuttavia può dar luogo alla figura della mora del creditore di lavoro. L’art. 1217 c.c., disciplinando specificamente la mora credendi nelle obbligazioni di fare, dispone che il creditore è costituito in mora mediante l’intimazione di ricevere la prestazione o di compiere gli atti che sono, da parte sua, necessari per renderla possibile. Parliamo, dunque, di una mancata cooperazione del creditore all’adempimento, concretizzatasi nella mancata effettuazione di quegli atti necessari a ricevere la prestazione che il prestatore vuole realizzare. Logicamente, la mancata cooperazione deve essere ingiustificata e cioè priva di motivo legittimo per dar luogo alla mora credendi.

L’art. 1207 c.c. precisa gli effetti della mora, ponendo a carico del creditore:

L’impossibilità sopravvenuta della prestazione per cause di forza maggiore

Il risarcimento dei danni eventualmente derivanti dal ritardo dell’adempimento, nonché le spese che ne conseguono (risarcimento limitato all’eventuale pregiudizio arrecato al lavoratore per la mancata esecuzione della prestazione a cui si aggiunge l’obbligo della retribuzione cui il datore è tenuto in virtù del rapporto di lavoro).

La mora credendi caratterizzata dal mancato adempimento dell’obbligazione di lavoro si estingue nell’ipotesi in cui il datore tenga il prestatore a disposizione senza utilizzarne l’attività, ma corrispondendo regolarmente la retribuzione (purché non si intraveda un caso di mobbing).

 

L’ oggettiva impossibilità temporanea della prestazione di lavoro

Dall’ ipotesi della mora come mancata volontaria cooperazione del creditore all’adempimento, occorre distinguere i casi di interruzione del lavoro o sospensione dell’attività aziendale dipendenti da fatti direttamente o indirettamente riconducibili all’organizzazione dell’ impresa e tali da determinare l’oggettiva impossibilità temporanea della prestazione lavorativa.

L’impossibilità temporanea della prestazione determina la sospensione del rapporto senza diritto del prestatore alla retribuzione. Questa regola è solo parzialmente derogata dall’art. 6 R.D.L. del 1924 n° 1825 sull’impiego privato, prevedendo espressamente che, in caso di sospensione di lavoro per fatto dipendente dal principale, l’impiegato ha diritto alla retribuzione normale.

In ogni caso la materia trova la più ampia fonte nei contratti collettivi. Per sosta di breve durata (2 ore) il datore è obbligato alla retribuzione, superato tale limite è prevista la sospensione del rapporto: l’imprenditore è autorizzato a metter in libertà i lavoratori, senza essere obbligato al pagamento della retribuzione. Interviene la Cassa Integrazione Guadagni.

 

Sinallagma genetico e sinallagma funzionale

La retribuzione, dunque, non è composta soltanto da quegli elementi che sono in correlazione immediata con la prestazione eseguita dal lavoratore. Infatti, il lavoratore può ricevere attribuzioni distaccate dall’effettiva erogazione nel tempo dell’attività lavorativa. Esempio tipico è il trattamento di fine rapporto, che da luogo ad una c.d. retribuzione indiretta.

Inoltre, come ormai sappiamo, la mancata prestazione non libera il datore dall’obbligo della retribuzione e della conservazione del posto. Questo potrebbe far pensare che non ci sia un effettivo principio sinallagmatico fra le due parti.

Ciò ci porta a concludere affermando che nel contratto di lavoro il sinallagma genetico non è mai assente; viceversa, non sussiste necessariamente il sinallagma funzionale, rilevante sul piano dell’esecuzione della prestazione di lavoro.

 

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