La necessità che il debitore, al fine di esonerarsi dalla responsabilità per l’inadempimento o per il ritardo, debba fornire la prova che la mancata o non esatta esecuzione della prestazione dovuta è stata determinata da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile (1218). Gli interpreti del codice napoleonico tuttora identificano la nostra causa non imputabile con la causa estranea; e la causa estranea, a sua volta coincide con le antiche nozioni del caso fortuito e della forza maggiore.

Nell’ordinamento italiano vigente, invece, il rapporto tra la nozione di causa non imputabile e i concetti di caso fortuito e di forza maggiore ha perso rilievo, almeno con riguardo alla parte generale della disciplina delle obbligazioni, poiché le disposizioni del codice del 1865, che corrispondevano alle regole del codice napoleonico, sono state sostituite dall’unico riferimento alla causa non imputabile (1218). Se si guarda alle argomentazioni dei giudici, le antiche formule, ancora utili sul piano sintomatico e tipologico, potrebbero prestarsi tuttavia a taluni equivoci, ove siano irrigidite in maniera arbitraria.

Una conferma è offerta dall’esperienza francese, poiché gli interpreti, in quel caso giustificati dalla presenza del dato testuale, spesso ci cimentiamo in distinzioni dal segno quanto mai incerto. Si legge che il caso fortuito sarebbe un evento bensì non inerente alla persona del debitore ma pur sempre tale da prodursi dall’interno della sua sfera di attività o della sua impresa; la forza maggiore sarebbe del tutto esterna.

Più nota e meno labile è la distinzione che fa leva: sul carattere imprevedibile e inevitabile dell’evento; sull’ostacolo assolutamente irresistibile. Inondazione: ci sono dei debitori da cui ci si può aspettare l’impiego di efficienti dispositivi di prevenzione e di salvaguardia e altri debitori, rispetto ai quali una tale pretesa può avere un fondamento, se sia giustificata dal contenuto del rapporto e della professionalità dei soggetti vincolati.

Soltanto alla luce di tali valutazioni, adeguate al contenuto dell’obbligo, è possibile fare un uso non generico delle formule del caso fortuito e della forza maggiore, con i corollari che ne derivano quando si proceda, in base all’art. 1218, alla determinazione della causa non imputabile dell’impossibilità di adempiere.

A differenza dell’onere della prova imposto al debitore, l’onere imposto al creditore non è disciplinato in maniera specifica: in tal caso quindi il problema non si appunta sul significato della possibilità derivante da causa non imputabile, ma sul collegamento con disposizione di carattere generale, poiché si tratta di chiarire in via preliminare se trovi qui conferma la regola fondamentale (2697), ovvero si abbia una deroga alla disposizione sul riparto della prova tra l’attore e il convenuto.

E’ chiaro allora che è importante precisare, non tanto se vi sia un’inversione nell’onere della prova che fa carico rispettivamente al debitore e al creditore, quanto piuttosto se vi siano limitazioni nell’assunzione della prova ovvero se anche in questa materia valgano le regole generali sui mezzi di prova esperibili. Com’è noto, prevale difatti l’opinione secondo cui il debitore sarebbe sempre tenuto a indicare un fatto impeditivo specifico e a dimostrare che un tale evento non gli è imputabile; e si esclude di conseguenza, che il debitore, in presenza di una causa ignota, possa anche liberarsi, per quanto talvolta una simile prova possa essere ben più gravosa, dimostrando di aver adottato tutte le misure idonee a conseguire il risultato utile che è oggetto del credito.

Ma soprattutto sul versante della prova del creditore la questione sembra molto importante: poiché occorre giustificare quelle ipotesi in cui il creditore abbia l’onere di provare che la prestazione posta in essere presenti i caratteri dell’inesattezza; e quest’ultima possa essere accertata soltanto in base alla dimostrazione che l’attività fu negligente o inesperta.

Sembra difatti che il creditore sia allora tenuto a provare la negligenza o l’imperizia. Sembra inoltre che il creditore sia allora tenuto a provare la negligenza o l’imperizia del debitore. Una simile inferenza non sarebbe di certo autorizzata sulla base dell’accezione volontaristica della diligenza.

Ma ben diverso è il caso in cui il debitore abbia adottato tutte le misure richieste dal contenuto dell’obbligo, fino al limite di quella possibilità, relativa o oggettiva, di cui si è detto. Se il risultato è mancato il fatto impeditivo è provato, poiché immanente alla vicenda considerata; e difatti si suole dire a ragione che rarissimi sono nella pratica i casi in cui la causa impeditiva potrà ancora risultare ignota.

Talvolta la giurisprudenza sembra incline ha difendere il principio che il debitore possa liberarsi ove provi di aver adottato tutti i comportamenti che erano richiesti dal titolo e quindi al contenuto del rapporto: in tal modo sarebbe necessariamente provata anche la causa sopravvenuta non imputabile. Si noti tuttavia che le massime favorevoli a una maggiore elasticità nell’applicazione della prova liberatoria sono invocate in maniera talvolta assai opinabile. Nella materia delle inadempienze dei datori di lavoro agli obblighi a contrarre nei confronti di alcune categorie di lavoratori subordinati.

Nel caso del datore che aveva rifiutato di assumere un lavoratore invalido, per l’erronea convinzione che non esistesse la presunta invalidità, i giudici hanno ravvisato gli estremi della non imputabilità dell’inadempimento all’obbligo di stipulare il contratto. La prova liberatoria non si sostanzia esclusivamente in quella positiva del caso fortuito o della forza maggiore, ma può considerarsi raggiunta ogni qual volta il debitore provi che l’esatto adempimento è mancato nonostante egli abbia seguito le regole dell’ordinaria diligenza.

Quanto al creditore, il chiarimento sulla prova posta a suo carico, quando l’inadempimento assuma la veste di una difettosa esecuzione della prestazione alla stregua di una valutazione di diligenza e di perizia, risulta determinante ai fini di eliminare taluni equivoci che si perpetuano con riguardo alle formule le quali fanno leva sui mezzi e sul risultato, non senza ulteriori ripartizioni intermedie.

Vi sono delle prestazioni in cui la delimitazione e la determinazione dell’oggetto dell’obbligo, che sempre è questione preliminare a ogni altra valutazione, presenta un carattere più complesso e più incerto. Ma, una, volta delimitata l’area che non può reputarsi ricompresa nel vincolo obbligatorio, resta pur sempre aperto il problema di una precisa determinazione dell’esatto adempimento; e a tal fine sono indispensabili i riferimenti alle regole di diligenza di perizia, oggettivamente intese, poiché queste soltanto sono in ultima analisi decisive al fine di affermare che la cura, la consulenza, la progettazione sono state buone.

Vi è soltanto un modo quindi di contrapporre le prestazioni di mezzi e le prestazioni di risultato. La distinzione potrebbe assumere rilievo non tanto con riguardo alla diversità dell’oggetto quanto sul piano stesso delle cause di esonero dalla responsabilità, qualora si dimostrasse che tutte le prestazioni di mezzi, ma soltanto queste, comportano che al debitore non sia mai addossato il rischio della causa impeditiva ignota, sicché sempre il soggetto obbligato potrebbe in quei casi liberarsi non soltanto fornendo la dimostrazione che vi fu uno specifico fatto non dovuto a sua colpa che non gli rese possibile di evitare l’inesatto adempimento ma anche con la prova di aver adottato tutte le misure richieste dal contenuto dell’obbligo e imposte dalle regole della diligenza e della perizia professionali.

 

 

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