Non esiste una ricetta sicura per discriminare debiti di valuta da debiti di valore. Si possono indicare taluni criteri in presenza dei quali è da ritenere normale e probabile l’esistenza di un debito di valore e\o di valore. Si osserva ad es. da taluno che il discrimen tra debiti di valuta e debiti di valore passa attraverso il filo della distinzione tra debiti da contratto e debiti derivanti dalla legge, giacché solo per i primi potrà aversi il ricorso a quella unità di misura dei valori. L’assegnare invece una base volontaristica, più o meno diretta, all’assunzione di un debito di denaro non aiuta a risolvere quella serie di ipotesi in cui il debito di pecuniario si presenta nella veste di un effetto riflesso di un rapporto di scambio mancato.

La circostanza che la giurisprudenza, nella determinazione del supplemento di prezzo necessario per ricondurre ad equità il contratto rescindibile (1450), ritenga rilevante il mutato potere di acquisto della moneta al momento dell’offerta e\o della pronuncia giudiziale non contrasta con i principi sopra elencati. Non contrasta con tali principi per il semplice fatto che, con l’offerta di reductio ad aequitatem, si tende ad uscire dai termini concordati dello scambio. Controversa è la natura dei debiti aventi ad oggetto il pagamento di indennità derivanti da contratto d’assicurazione. L’origine negoziale di un debito pur definito di risarcimento nella forma dell’assicurazione contro i danni (1905)dovrebbe far propendere per il debito di valuta. Si argomenta a contrario del fatto che, nell’accertamento del danno, il valore della cosa assicurata deve essere quello del momento del sinistro (1908) e del mutamento di tale valore bisognerà tenere conto nella liquidazione dell’indennità.

Nell’ambito dei crediti negoziali una posizione particolare spetta ai crediti di lavoro e cioè al credito di retribuzione che rappresenta il corrispettivo della prestazione lavorativa. La tesi prevalente è che si tratti di credito di valuta e cioè di credito pecuniario, cui è applicabile il principio nominalistico (1277) e trovando il suo supporto, tale tesi, nell’originaria concezione, elaborata dall’economia classica e borghese, della retribuzione quale prezzo del lavoro al quale è applicabile la forma di merce. È sulla base di una nozione di retribuzione in senso sociale, quale risultante dal precetto Costituzionale di cui all’art. 36, che si è potuto sostenere la conversione del credito del lavoratore da credito di valuta in credito di valore e così il passaggio dal salario nominale al salario reale.

Tra i debiti riguardanti un rapporto di scambio e la vasta gamma dei debiti risarcitori si colloca una vasta serie di debiti aventi ad oggetto pagamento di somme e che presentano una connessione più o meno diretta con beni e cose. Questa connessione può presentare forme diverse, la più nota riguardando erogazioni compiute per effettuare riparazioni o miglioramenti. Qualche chiarimento potrà ottenersi riflettendo sul fatto che l’indirizzo vuole essere quello di introdurre una netta differenziazione a seconda o meno che una certa erogazione sia diretta ad aumentare il valore del bene e si sia dunque risolta in un miglioramento ovvero sia diretta a preservare la sola consistenza del bene e privilegiandosi, nel primo caso, quell’erogazione perché diretta all’incremento dei fondi e volendosi, d’altro canto, evitare che di tale incremento abbia ingiustamente a beneficiare il solo debitore dell’indennità. Con un debito così concepito si ottiene il duplice risultato di ragguagliare l’entità del debito al prezzo di mercato del bene e di sottrarre l’avente diritto ai rischi delle oscillazioni della moneta.

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