Cassazione Civile – Sezione lavoro; 19 maggio 1995, n. 5525

Per i creditori previdenziali, dovendo valere anche per essi il principio di indifferenza e cioè il principio secondo cui i criteri legali o presuntivi di risarcimento non debbono avvantaggiare o nuocere al creditore in dipendenza del tempo in cui vengono applicati, non può ritenersi applicabile il criterio del cumulo degli interessi legali sulle somme rivalutate via via e ciò in base all’art. 429 c.p.c. E’ invece applicabile, ma con riguardo alla sola obbligazione risarcitoria da ritardo, e per la durata di tale ritardo, il regime degli interessi alla quota di interessi e il regime della rivalutazione alla quota di rivalutazione. Trattandosi di un debito di valore non risarcitorio, il danno subito dal creditore per il ritardo nell’adempimento non può essere automaticamente commisurato agli interessi legali ma può essere risarcito, in via equitativa, nella misura dell’eccedenza di detti interessi rispetto alla rivalutazione.

Tale sentenza segue un percorso abbastanza autonomo rispetto ad indirizzi giurisprudenziali precedenti che pure la possibilità di tale cumulo avevano negato. Sembra porsi in contrasto con quanto deciso dalla Corte Costituzionale con la sentenza 12 aprile 1991, n. 156, la quale ha ritenuto illegittimo l’art. 442 c.p.c. nella parte in cui non prevede che il giudice, anche per l’inadempimento di crediti previdenziali, abbia a condannare il datore di lavoro, non solo al pagamento degli interessi legali, ma anche al maggior danno da svalutazione. La sentenza muove da una osservazione che può ritenersi abbastanza elementare.

Allorquando si verifica un danno da ritardo, al creditore va garantito non solo l’adempimento del debito c.d. primario, ma anche il danno da esso subito per il ritardo con cui ha ricevuto quanto gli spetta. Poiché il danno da ritardo è destinato ad incrementarsi con il decorso del tempo, è logico inferirne che al danno prodotto in un determinato prodotto si aggiunge quello prodotto per il protrarsi del ritardo, in un periodo immediatamente successivo. Il ragionamento, pur corredato da esemplificazioni, ha difficoltà ad essere tradotto in termini agevolmente commestibili per il lettore medio.

In realtà, questi manifesta poca familiarità con l’arbitraria divisibilità della sequenza dell’adempimento tardivo in periodi o intervalli o in frazioni di tempo, giacché egli è portato a pensare che il danno da ritardo sia unico e che esso va stabilito con riguardo al momento dell’adempimento tardivo e che il risarcimento strettamente fa corpo con l’obbligazione principale. Più praticabile allora, per ottenere l’esito desiderato, è un’altra via che la sentenza percorre. Ed è quella di guardare alle regole di risarcimento che sono proprie delle obbligazioni diverse da quelle pecuniarie. Ebbene la determinazione del danno è messa in relazione con il comportamento che il creditore avrebbe tenuto in caso di adempimento tempestivo, giacché non possono presupporsi, nella liquidazione del danno, comportamenti contraddittori.

Ma il cumulo di rivalutazione e interessi non ha miglior sorte ove si guardi ai debiti di valore ossia a quei debiti il cui oggetto non è una somma di denaro quantitativamente determinata nella veste di un astratto strumento di soluzione dei debiti bensì il valore di un bene o di un’utilità al quale andrà commisurata la quantità di moneta dovuta. Come è noto, in ordine a tali debiti la possibilità del cumulo di rivalutazione e interessi è pressoché concordemente riconosciuta. All’annosa disputa riguardante il problema se gli interessi vanno calcolati sulla intera somma rivalutata al momento della liquidazione giudiziale o invece sul capitale originario, pur rivalutato anno per anno, secondo gli indici ISTAT hanno risposto di recente le Sezioni Unite della Cassazione, accreditando la seconda ipotesi dell’alternativa.

Ma anche questa interpretazione, dice la sentenza, se astrattamente in regola con il postulato principio di indifferenza e cioè con il principio secondo cui deve essere indifferente per il creditore il momento in cui viene soddisfatto il suo credito risarcitorio, purché esso sia coperto anche per il danno da ritardo, contrasta scopertamente con superiori principi di logica e di diritto. La sentenza ha buon gioco nell’enunciare quali sono queste contraddizioni:

non può esservi, in primo luogo, la possibilità di interessi su un debito in itinere, quale è quello rivalutato che sorgerà in concreto al momento della liquidazione;

d’altro canto, interessi non ancora maturati non possono essere oggetto di rivalutazione.

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