Tra i temperamenti all’assolutezza e alla rigidità del principio nominalistico può ricomprendersi anche la distinzione tra la categoria dei debiti di valore, che, come si insegna, sono sottratti a tale principio, e debiti di valuta, che rientrano nella previsione dell’art. 1277. Tale summa divisio dei debiti di denaro presuppone un confronto tra entità eterogenee. Il debito di valuta si presenta con lineamenti almeno in apparenza definiti, poiché l’ammontare della prestazione pecuniaria è precisamente determinato fin dall’origine o è determinabile con semplici operazioni contabili.

Inoltre è liquido o comunque di pronta e facile liquidazione. Il debito di valore non ha per oggetto una somma liquida o agevolmente liquidabile: presuppone una valutazione discrezionale che è necessaria al fine di determinare il valore della prestazione dovuta in termini effettivi e di fissarne l’ammontare in denaro all’atto della liquidazione, la quale è tutta ancora da compiere.

Si dice che il debito di valore non è mai liquido; quando lo diventa, si è trasformato in un debito di valuta. La serie delle figure ricomprese sotto la denominazione di debito di valore può essere descritta soltanto con ricorso al metodo casistico, che pure deve essere sottoposto a controllo critico, al fine di evitare che sia vanificato anche il minimo dei criteri distintivi di carattere generale.

La figura principale su cui gli orientamenti della giurisprudenza hanno avuto modo di esercitarsi e di precisarsi nel corso degli anni è costituita dall’obbligo di risarcire i danni derivanti da fatto illecito o dall’inadempimento. Un tale obbligo deve essere liquidato secondo una misura pecuniaria ragguagliata al potere di acquisto della moneta nel momento della reintegrazione della sfera patrimoniale del soggetto leso.

La svolta della giurisprudenza in materia di qualificazione delle spese erogate dal danneggiato si è avuta una pronuncia delle sezioni unite, la quale ha posto fine all’indirizzo che attribuiva al versamento di tali somme, in quanto determinate nell’ammontare in denaro, il carattere di un debito di valuta. Un tale atteggiamento era inspiegabilmente incoerente con la posizione complessiva della giurisprudenza stessa rispetto all’obbligazione risarcitoria. Il danneggiato deve ricevere quanto è necessaria a riparare il pregiudizio economico subito.

Il ristoro deve essere effettivo: il valore economico complessivo del patrimonio deve essere riportato nella condizione in cui era prima della lesione. Soltanto dopo la liquidazione della somma che è oggetto del debito di valore si suole affermare che l’obbligazione assume i caratteri di un debito pecuniario di valuta, assoggettato come tale al principio nominalistico. Con riguardo all’obbligazione risarcitoria hanno trovato applicazione alcuni importanti canoni processuali su cui esiste un diffuso consenso.

Il giudice valuta anche d’ufficio l’incidenza della perdita del potere d’acquisto della moneta. Tale accertamento può variare fino al momento della definitiva liquidazione, e sevi è stata impugnazione, anche nel successivo grado di giudizio. Dopo il passaggio in giudicato della sentenza, il ritardo del debitore nel procedere al pagamento del debito è per comune avviso sottoposto alle regole generali: il giudice non può procedere ancora una volta a un’automatica rivalutazione.

Con riguardo all’obbligo di indennizzo che grava sull’assicuratore nei confronti del danneggiato nella materia della responsabilità civile automobilistica, la qualificazione del debito in termini di debito di valore è parsa coerente con la funzione del debito; ma la giurisprudenza di legittimità non si è quasi mai discostata dalla qualificazione in termini di valuta; e tale è considerato anche il credito di rivalsa contro l’assicurato per le somme versate al terzo.

Le aree dei debiti di valore che tra tutte sembrano esemplari sono costituite dalle obbligazioni alimentari e più in generale da quelle ipotesi nelle quali debba procedersi a un riequilibrio nelle posizioni degli interessati con valutazioni non automatiche. La specialità dei crediti alimentari è a tal punto evidente da non potersi di certo limitare al problema della sottrazione al principio nominalistico per il tramite dell’espediente della qualificazione in termini di debiti di valore.

Costante è la costruzione in termini di debito di valore delle obbligazioni di rimborso; l’ipotesi è da ricomprendere nel più ampio quadro dei rimedi nei confronti degli arricchimenti ingiustificati. Per le obbligazioni restitutorie, alcune sono già quantificate in termini pecuniari e, ove non interferiscano profili risarcitori che comunque rileverebbero in via automatica, sono debiti di valuta e come tali assoggettati al principio nominalistico.

Nel caso delle restituzioni da invalidità o da impugnativa contrattuale occorrerà accertare se possa procedersi a una valutazione globale dei reciproci arricchimenti e depauperamenti, secondo gli indirizzi ormai comunemente accolti in altri ordinamenti. Altrimenti la restituzione si riferirà alla prestazione pecuniaria isolatamente considerata nel suo ammontare nominale. Sono infine facilmente intuibili le ragioni che la giurisprudenza pone a fondamento della qualificazione come debito di valore della somma offerta con la finalità di riportare ad equità il contratto rescindibile.

Indiscussa sarebbe invece la qualificazione dell’obbligazione di restituire il prezzo in seguito alla pronuncia di rescissione in termini di valuta. La categoria dei debiti di valore è influenzata dal problema della tutela dei creditori dalle oscillazioni monetarie. Ma in quasi tutti gli ordinamenti l’opera delle corti è fonte di regole funzionali all’esigenza della rivalutazione dei debiti pecuniari o comunque di regole dirette a attenuare le sperequazioni create dalla rigida applicazione dei principi.

 

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