Con il termine fonti si possono indicare varie realtà: fonti di produzione, fonti di cognizione, fonti storiche.

Le fonti di produzione, o “fontes existendi”, sono sia gli organi e le procedure attraverso le quali vengono prodotte le norme canoniche, sia le forme che tali norme assumono. Quindi la posizione di assoluta preminenza è tenuta dalle leggi, che possono distinguersi:

  1. per autore: pontificie (Papa), conciliari (concilio ecumenico), sinodali, episcopali (vescovo), capitolari;
  2. per tipologia: universali (dirette a tutti i fedeli cattolici) e particolari (dirette ad una categoria di persone o ad un luogo), generali (norme per tutti) e speciali (riguardano una materia nello specifico), territoriali (le circostanze territoriali sono le diocesi con a capo il vescovo) e personali (nella Chiesa esistono delle situazioni particolari di cui l’ordinamento deve tener conto, ad esempio tra cattolici di rito diverso che vivono nella stesso territorio la legge si applica in base al rito di appartenenza).

Alla legge si aggiunge la consuetudine (diritto oggettivo non scritto), è prodotta da una determinata comunità organizzata attraverso la perenne osservanza (elemento oggettivo), rafforzata dal convincimento generale della sua giuridicità e della sua necessità, “opinio iuris ac necessitatis” (elemento soggettivo). Si concede ampio spazio alla consuetudine che non deve essere contro il diritto divino ma “secundum legem” o “praeter legem” cioè al di là del diritto se il diritto non c’è.

Tra le fonti si aggiunge anche la giurisprudenza, cioè le sentenza pronunciate dai competenti organi giudiziari della Chiesa ovvero la Segnatura Apostolica, la Rota romana, i Tribunali ecclesiastici diocesani e metropolitani. Il giudice è chiamato ad applicare la legge, non potendo creare nuove norme, ma opera in un ordinamento aperto al diritto divino naturale e positivo, quindi il giudice ecclesiastico non è legato solo al diritto formalmente prodotto dal legislatore ma è tenuto ad applicare nel proprio giudizio il diritto divino. Questo può condurre fino alla disapplicazione di una norma di diritto positivo, il caso della “aequitas canonica”, istituto che ha una funzione correttiva della legge quando la sua applicazione in casi concreti è produttrice di ingiustizia o contrasta con lo spirito di carità e le esigenze spirituali dell’ordinamento canonico. Quindi la giurisprudenza, intesa come interpretare ed applicare la legge canonica ai casi concreti, ha una certa rilevanza normativa; infatti il diritto canonico si avvicina molto alla regola giurisprudenziale tipica degli ordinamenti giuridici di common law. In particolare sono i tribunali pontifici della Segnatura Apostolica e della Rota romana ad avere questa rilevanza normativa.

Anche la dottrina canonistica può diventare fonte normativa sussidiaria, nel caso di lacune dell’ordinamento il parere costante e comune dei canonisti (insieme all’analogia, ai principi generali del diritto, alla giurisprudenza, alla prassi della Curia romana) può costituire criterio per decidere una causa purché non sia un giudizio penale.

Le fonti di cognizione, invece, sono le raccolte e i documenti nei quali sono contenute le norme canoniche; le raccolte più importanti sono il codice di diritto canonico ed il codice dei canoni delle Chiese orientali.

Le fonti storiche sono le raccolte nelle quali sono contenute le norme canoniche prodotte via via nel corso del tempo ma non più in vigore (ius vetus); le raccolte più importanti sono il Corpus Iuris Canonici e il codice di diritto canonico del 1917. Nel diritto canonico le leggi previgenti sono molto importanti perché l’ordinamento giuridico della Chiesa si è venuto evolvendo senza soluzione di continuità e molto spesso per interpretare correttamente una disposizione risulta utile conoscerne le ragioni originarie.

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