La particolarità dell’ordinamento giuridico della Chiesa è che ha alla sua base il diritto divino, cioè un complesso di norme che non sono state poste dal legislatore ecclesiastico, cioè da un’autorità umana, ma da questa sono fatte valere. In ragione delle modalità con le quali queste norme sono state prodotte e dei destinatari, le possiamo distinguere in diritto divino naturale, o diritto naturale, e diritto divino positivo, o diritto divino rivelato.

Il diritto naturale è dato dall’insieme di principi non scritti che sono stati impressi da Dio nella coscienza dell’uomo e che hanno valore universale. Questo diritto è caratterizzato dalla meta-positività, cioè la sussistenza prima ed a prescindere da qualsiasi legislatore positivo, dalla intrinseca validità, vige a prescindere da tutto, dalla assiologia superiorità rispetto al diritto positivo, da una superiore obbligatorietà derivante dalla sua origine divina e non umana. Il diritto naturale non può non riguardare anche quella società di uomini costituita dai battezzati nella Chiesa cattolica, chiamata necessariamente a vivere secondo le regole naturali d’ogni formazione sociale.

La Chiesa quindi è realtà spirituale che si incarna in un organismo sociale e non è sottratta alle norme che per natura caratterizzano la vita dei corpi sociali. Un esempio di diritto naturale sono sicuramente i diritti umani, cioè le spettanze che ad ogni uomo vanno riconosciute in ragione della dignità della persona umana, come il diritto ad essere immuni da qualsiasi costrizione nella scelta dello stato di vita o dal diritto al buon nome e alla salvaguardia della vita privata (can. 219 e can. 220), altro caso è quello del riconoscimento dello “ius connubii” cioè diritto di contrarre matrimonio (can. 1058).

Il diritto divino positivo è costituito dalle norme che sono state manifestate dalla Rivelazione divina e sono quindi ricavabili dall’Antico e dal Nuovo Testamento, nonché dalla Tradizione Apostolica. Tra diritto naturale e diritto divino positivo può esserci un nesso poiché il secondo ribadisce ed esplicita precetti che sono propri del primo, come ad esempio l’indissolubilità del matrimonio è un precetto di diritto naturale ma nel matrimonio-sacramento l’indissolubilità diviene assoluta per un precetto di diritto divino positivo. Questo è un insegnamento tratto direttamente dal racconto della creazione contenuto nell’Antico Testamento nel libro della Genesi, qui la parola della fede illumina la realtà naturale, sottolinea la valenza unitiva del matrimonio e ne evidenzia le essenziali proprietà dell’unità e dell’indissolubilità.

Nell’Antico Testamento la previsione della legislazione mosaica, che ammetteva in alcuni casi il ripudio, risulta un parziale abbandono del rigore del progetto originario causato dalla durezza del cuore. Dal complesso dei testi che toccano la questione emerge la coscienza nel popolo ebraico della mancata fede al progetto originario e una sensibilità per il divorzio che viene avvertito come un male tollerato. Tutto il contesto è dominato dall’idea dell’una caro contenuta nel racconto biblico che offre il senso della struttura esistenziale del matrimonio. I Vangeli invece sono categorici nella condanna del divorzio, ma è bene notare che la predicazione di Gesù non era volta ad affermare una normativa più rigorosa in materia, in realtà tende a riaffermare l’originale progetto del Creatore sul matrimonio, cioè restaurare il precetto di diritto naturale sull’indissolubilità del matrimonio (lettere di Paolo).

Tra diritto naturale e diritto divino positivo possono anche non esserci nessi nel senso che il diritto divino positivo non vuole innovare il diritto naturale ma porre principi che vanno al di là di questo. Un caso sono le norme che riguardano la Chiesa e la conformano secondo la volontà del suo Divino Fondatore, come ad esempio il carattere gerarchico che vede due soggetti di suprema autorità congiunti in un’unità organica: il Romano Pontefice e il Collegio episcopale (composto dai Vescovi) il cui capo è il Pontefice (cann. 330, 331, 336). Al diritto divino positivo attiene anche la missione della Chiesa cioè annunciare la verità rivelata (can. 747), ovvero i mezzi con cui la Chiesa è chiamata ad operare cioè i sacramenti che sono segni e mezzi mediante i quali la fede viene espressa e irrobustita.

Al diritto divino positivo si riconducono il complesso di diritti e doveri soprannaturali che si riferiscono non alla persona in quanto tale ma in quanto incorporata a Cristo mediante il battesimo (can. 96). Dunque il diritto divino positivo è dato dall’insieme di principi che sono intimamente e strutturalmente connessi con la Chiesa in quanto entità fondata da Cristo, il quale ha dato precise finalità da perseguire nel tempo, i mezzi da utilizzare, le regole fondamentali di governo ed i criteri di appartenenza. Questi principi sono essenziali perché determinano la struttura e il funzionamento della costituzione della Chiesa, irriformabili perché posti dal legislatore divino.

La Chiesa non è inquadrabile nelle due grandi configurazioni in cui la dottrina giuridica riconduce la realtà artificiale delle persone morali, associazione e fondazione, ma partecipa sia ad una sia all’altra senza essere né l’una né l’altra. In parte è riconducibile alla figura dell’associazione perché sociologicamente è costituita da un gruppo organizzato di persone ma la sua esistenza, le sue finalità, i mezzi, le condizioni per farne parte, le regole di organizzazione, non sono determinate dalla volontà degli associati; è in parte una fondazione perché è un ente che ha finalità e mezzi determinati dalla figura del Fondatore ma è caratterizzata da una base personale e non patrimoniale.

Il diritto divino positivo è immodificabile, ma ciò non significa che non possa essere oggetto di approfondimenti, compito che spetta al Magistero ecclesiastico (can. 750) che segue la Tradizione apostolica e tiene conto della prassi secolare della Chiesa, dello stesso convincimento diffuso nella comunità ecclesiale (sensus fidei). Il problema si pone quando il diritto divino (naturale e rivelato) viene ad avere vigenza nell’ordinamento canonico. In passato con la concezione positivistica si riteneva che i principi e le disposizioni di diritto divino entrassero a far parte dell’ordinamento tramite un atto di volontà del legislatore ecclesiastico (canonizzazione). Questa concezione è in realtà infondata perché il diritto divino vige in quanto tale a prescindere da qualsivoglia volontà di legislatore umano.

Il diritto divino e il diritto umano non devono essere inquadrati come due ordini giuridici distinti ma in termini di esplicitazione sul piano del diritto umano dei principi di diritto divino, cioè il diritto umano è una sorta di trasposizione dei principi del diritto divino, il quale è vigente, sovraordinato al diritto umano e dotato di una superiore obbligatorietà. Il Concilio Vaticano II esprime un ripensamento delle tradizionali teoriche dottrinali dando vita a due fondamentali orientamenti: la scuola canonistica di ispirazione teologica e la scuola spagnola di Navarra. La prima pone una netta separazione tra diritto divino e diritto umano ecclesiastico ma in direzione opposta rispetto alla tesi della canonizzazione, assorbendo interamente il diritto divino nella teologia. La seconda pone una teoria che prospetta il rapporto tra diritto divino e diritto umano come un processo di progressivo approfondimento e recezione dei contenuti del primo delle norme positive attraverso il passaggio da una prima fase (positivazione) caratterizzata dalla presa di coscienza ecclesiale dei contenuti del diritto divino, ad una successiva in cui tali contenuti vengono formalmente inseriti nell’ordinamento giuridico (formalizzazione).

Il diritto umano rappresentata nel divenire della storia la perenne tensione del legislatore ecclesiastico ad uniformarsi “modello”, cioè il costante tentativo di realizzare modalità di esercizio dei diritti e dei doveri che da esso derivano.

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