L’istruzione è l’attività del giudice diretta a conoscere i fatti rilevanti per il giudizio. L’attività del giudice, quindi, oltre alla valutazione dei termini di diritto della controversia (quaestio iuris), comporta normalmente anche la conoscenza della vicenda o della situazione in termini di fatto (quaestio facti), che è essenziale per stabilire quali norme siano effettivamente attinenti a quella vicenda o a quella situazione. La circostanza che normalmente all’attività di interpretazione delle norme si accompagni un’attività del giudice di conoscenza dei fatti, tuttavia, non significa che una particolare indagine sui fatti debba sempre aversi (es. fatti non specificatamente contestati, fatti non controversi). Nel processo amministrativo, in sostanza, non si deve sempre ammettere una fase istruttoria autonoma. Essa, al contrario, può svolgersi senza soluzione di continuità anche nel corso della trattazione davanti al giudice decidente. Al tempo stesso, tuttavia, occorre sottolineare come sia erronea l’opinione secondo la quale il processo amministrativo sia un processo ad istruttoria solo eventuale : anche l’acquisizione del provvedimento impugnato e la cognizione di esso, infatti, sono profili inerenti all’istruzione.

Il tema dell’istruzione probatoria ruota anche nel processo amministrativo intorno a tre profili:

  • il rapporto tra le allegazioni di fatti riservati alle parti e i poteri di cognizione del giudice: per individuare i fatti che non possono essere rilevati dal giudice di norma si fa riferimento alla distinzione tra fatti principali, che identificano la pretesa fatta valere concretamente in giudizio, e fatti secondari, la cui dimostrazione consente di verificare o meno la sussistenza dei fatti principiali o la loro rilevanza. Nel processo amministrativo i fatti principali possono essere introdotti solo dalle parti, perché altrimenti sarebbe messa in discussione la vigenza del principio della domanda. Si discute invece se i fatti secondari possano essere introdotti anche dal giudice, ma in giurisprudenza prevale l’orientamento negativo;
  • i vincoli e gli effetti che comportano le istanze istruttorie delle parti: nel processo vale il principio generale sancito dall’art. 2697 c.c. sull’onere della prova (art. 63 co. 1). In passato si è ritenuto che il principio dispositivo imponesse, accanto al principio della domanda, anche la riserva alle parti della richiesta di mezzi di prova (principio di trattazione). Si riteneva tuttavia che il processo amministrativo non fosse ispirato a criteri del genere, perché il giudice amministrativo poteva disporre anche di ufficio tutti i mezzi istruttori a sua disposizione, fermo restando che oggetto di prova potevano essere solo i fatti allegati dalle parti (metodo acquisitivo). L’analisi delle disposizioni più rilevanti (art. 64 co. 3) consente di affermare che l’istruttoria nel processo amministrativo si ispira ancora a tale metodo acquisitivo, utile per riequilibrare le posizioni delle parti nel processo amministrativo.

Le parti possono formulare istanze istruttorie, ma su di esse il giudice non risulta vincolato, potendo disporre mezzi istruttori anche in assenza di una specifica istanza delle parti. Occorre quindi capire se l’esercizio dei poteri istruttori del giudice presuppone almeno in parte un contributo della parte. Secondo un orientamento precedente al codice ma tuttora valevole, l’esercizio dei poteri istruttori del giudice richiede che la parte abbia fornito un principio di prova, sulla cui nozione, tuttavia, ancora si discute. Il giudice, peraltro, non deve esercitare i suoi poteri di ufficio per la ricerca della prova quando si tratti della prova di fatti che siano già nella disponibilità del ricorrente. In questo caso la parte è senz’altro nelle condizioni di fornire la prova del fatto e l’intervento del giudice non avrebbe alcuna giustificazione oggettiva;

  • i vincoli che comportano le risultanze istruttorie per la decisione: il processo si basa sul principio del libero apprezzamento del giudice, motivo per cui le prove raccolte nel giudizio sono rimesse, quanto alla loro valutazione, al prudente apprezzamento del giudice (art. 64 co. 4). Questo principio comporta l’esclusione delle prove legali (es. giuramento), che si caratterizzano invece per vincolare il giudice alla verità di un certo fatto, impedendogli di assumere una decisione difforme. A tale esclusione fa eccezione la disciplina dell’atto pubblico, che anche nel processo amministrativo ha l’efficacia prevista dall’art. 2700.
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