I principali poteri amministrativi, i cui elementi sono trasfusi nei provvedimenti finali che ne costituiscono esercizio e di cui la legge definisce i “tipi”, sono: poteri autorizzatori, poteri concessori, poteri ablatori, poteri sanzionatori, poteri di ordinanza, poteri di programmazione e di pianificazione, poteri di imposizione di vincoli e poteri di controllo.
Il potere autorizzatorio ha l’effetto di rimuovere i limiti posti dalla legge all’esercizio di una preesistente situazione di vantaggio, previa verifica della compatibilità di tale esercizio con un interesse pubblico.
L’uso del potere, a fronte del quale il destinatario si presenta come titolare di interessi legittimi pretensivi, produce quindi l’effetto giuridico di modificare una situazione soggettiva preesistente, consentendone l’esplicazione (se potere) o l’esercizio ( se diritto) in una direzione in precedenza preclusa, ma non di costituire nuovi diritti.
Attraverso l’esercizio del potere autorizzatorio, l’amministrazione esprime il proprio consenso preventivo all’attività progettata dal richiedente, che è l’unico titolare dell’iniziativa. L’autorizzazione, dunque, può essere definita come quel provvedimento mediante il quale la P.A., nell’esercizio di un’attività discrezionale in funzione preventiva (e su istanza dell’interessato) provvede alla rimozione di un limite legale posto all’esercizio di un’attività inerente ad un diritto soggettivo che deve necessariamente preesistere in capo al destinatario.
Partendo da questo presupposto, e cioè che il diritto preesiste all’autorizzazione, è possibile tracciare una prima differenza tra autorizzazione e concessione: infatti l’effetto di consentire l’esplicazione o l’esercizio della situazione preesistente è altra cosa rispetto all’attribuzione ex novo della situazione, né tanto meno si può negare la preesistenza del diritto asserendo che a fronte del potere autorizzatorio il privato è titolare di un mero interesse legittimo; come in precedenza osservato, è sufficiente ricorrere al concetto di relatività delle situazioni giuridiche per comprendere che il diritto si configura come interesse legittimo solo nei limiti entro i quali si rapporta al potere, mentre indipendentemente da esso è diritto in senso proprio e liberamente esercitabile.
L’ordinamento oggi prevede un esempio di autorizzazione plurima per così dire riepilogativa di una serie di atti di consenso: ove il procedimento delle sportello unico delle attività produttive si concluda con provvedimento espresso costituente titolo unico per la realizzazione dell’intervento, esso riassume i vari atti di assenso richiesti dalla legge; nell’ordinamento è pure presente l’autorizzazione integrata ambientale, la quale sostituisce a tutti gli effetti ogni visto, parere o autorizzazione in materia ambientale.
Dal ceppo dell’autorizzazione sono state poi enucleate altre figure quali l’abilitazione, il nullaosta, la dispensa, l’approvazione e la licenza.
Le abilitazioni sono atti il cui rilascio è subordinato all’accertamento dell’idoneità tecnica dei soggetti a svolgere una certa attività, e può essere collegata, ad es., al superamento di un esame e all’iscrizione ad un albo; per questo le abilitazioni vanno ricondotte allo schema norma – fatto –effetto, senza riconoscere la presenza di un potere provvedimentale.
Considerazioni analoghe possono essere fatte con riferimento all’omologazione, rilasciata dall’ autorità a seguito dell’accertamento della sussistenza in una cosa di tutte le caratteristiche fissate dall’ordinamento ai fini della tutela preventiva (prodotti pericolosi) o per esigenze di uniformità dei modelli.
Il nullaosta è un atto endoprocedimentale necessario, emanato da un’amministrazione diversa da quella procedente, con cui si dichiara che, in relazione ad un particolare interesse, non sussistono ostacoli all’adozione del provvedimento finale; va precisato che l’assenso della P.A. non riguarda il provvedimento nel suo complesso, ma la sua compatibilità con l’interesse da essa curato, per cui il nullaosta riguarda esclusivamente i rapporti tra diverse amministrazioni (anche se talvolta il termine è utilizzato con riferimento a provvedimenti autorizzatori direttamente rivolti a privati).
Il diniego del nullaosta, prima che venisse emanata la disciplina sulla conferenza di servizi, costituiva impedimento alla conclusione del procedimento, in ogni caso è comunque necessario fare delle differenze: laddove si sia in presenza di un mero interesse secondario l’amministrazione può rappresentarlo nel procedimento, ma non può porre veti al soggetto procedente; se invece l’interesse curato dall’amministrazione diversa da quella procedente sia ritenuto dall’ordinamento di tale rilevanza da non poter essere pregiudicato, si ha il nullaosta, rilasciato dopo la verifica della compatibilità dell’altrui attività amministrativa con il proprio interesse.
La dispensa è il provvedimento con cui l’ordinamento, pur vietando o imponendo in generale un determinato comportamento, prevede che l’amministrazione possa consentire in alcuni casi una deroga all’osservanza del relativo obbligo o divieto; se la deroga ad un divieto generale avvenga in base allo schema norma – fatto – effetto si parla di esenzione.
L’approvazione è il provvedimento permissivo avente ad oggetto non un comportamento, ma un atto rilasciato a seguito di una valutazione di opportunità e convenienza dell’atto stesso. Dunque, opera come condizione di efficacia dell’atto ed è successiva; nell’ambito dei procedimenti di controllo si impiega talvolta la figura dell’approvazione condizionata, che in realtà significa annullamento con indicazione dei correttivi necessari per conseguire l’approvazione.
La licenza, figura che oggi la legge tende a sostituire con l’autorizzazione, era definita, secondo parte della dottrina, come il provvedimento che permette lo svolgimento di un’attività previa valutazione della sua corrispondenza ad interessi pubblici, ovvero della sua convenienza in settori non rientranti nella sfera dell’amministrazione ma sui quali essa sovrintende (ad es. licenza commerciale).
Tutti i provvedimenti analizzati, ad esclusione della dispensa, vanno ricondotti nell’ambito del potere autorizzatorio, e infatti la L. 241/90 usa la nozione di “atti di consenso” per indicare tali atti nel loro complesso, prevedendo che gli stessi possano essere sostituiti dai meccanismi della denuncia di inizio attività ovvero risultino assoggettati alla disciplina del silenzio assenso.
La tendenza alla sostituzione degli atti permissivi con il meccanismo del silenzio assenso o della segnalazione di inizio attività è spesso affiorata nella recente legislazione anche al fine di eliminare gli ostacoli all’esercizio dell’attività di iniziativa economica (c.d. liberalizzazione).
Sul tema della liberalizzazione è da richiamare il d.lgs. 59/2010 con cui è stato data attuazione alla direttiva 2006/123/CE.
Inoltre delle liberalizzazioni si è anche occupato il legislatore nel quadro delle manovre assunte per far fronte alla crisi economica. In particolare si ricorda il d.lgs. 138/2011 che opera sul versante delle professioni e delle attività economiche che sancisce il principio che le attività economiche sono libere ed è permesso tutto ciò che non è vietato espressamente dalla legge.
Il successivo d.l. 201/2011 ribadisce il principio della libertà di accesso, di organizzazione e di svolgimento delle attività, fatte salve le esigenze imperative di interesse generale.
Si segnala anche il d.l. 1/2012 che prevede l’abrogazione di molte restrizione all’avvio di attività economiche.