Le tipologie dei poteri amministrativi

I poteri amministrativi possono essere classificati, innanzitutto, in base al criterio dell’ interesse pubblico che ciascuno di essi è chiamato a soddisfare: possiamo così distinguere un potere urbanistico, un potere edilizio, un potere sanitario, un potere di polizia, un potere di tutela ambientale, etc.

Ciascuno di questi poteri, a sua volta, si esplica in forme diverse: ad es., il potere urbanistico viene svolto attraverso piani urbanistici regionali, piani intercomunali, piani regolatori comunali; il potere edilizio si esprime mediante permessi di costruire, autorizzazioni edilizie, ordini di sospensione dei lavori; il potere di polizia si esercita mediante ordinanze, licenze, autorizzazioni, revoche, divieti, etc. Ora, poiché le forme, con le quali vengono esercitati questi poteri, ricorrono più volte (ad es., l’ autorizzazione la ritroviamo sia nella materia sanitaria, sia nella materia edilizia, che in quella di polizia) i poteri amministrativi possono essere classificati anche in ragione di queste forme: avremo così un potere autorizzativo, un potere di concessione, un potere sanzionatorio, etc.

I poteri amministrativi possono essere classificati anche in relazione al tipo di interesse contrapposto (l’ interesse del soggetto privato): ci sono poteri che restringono la sfera del privato (cd. poteri ablativi) e poteri che garantiscono al privato un beneficio (cd. poteri ampliativi). In rapporto ai primi, il privato ha un interesse oppositivo (cioè, l’ interesse a che il potere non venga esercitato); rispetto ai secondi, invece, il privato ha un interesse pretensivo [cioè, l’ interesse a che il potere venga esercitato; in questa seconda ipotesi può accadere, però, che il potere venga esercitato dall’ amministrazione in modo difforme dall’ interesse del privato (si pensi, ad es., al caso in cui un’ autorizzazione venga negata, anziché concessa); e allora il privato ne riceverà un danno, come se l’ amministrazione avesse esercitato un potere ablativo].

I poteri amministrativi possono essere ancora qualificati in base al tipo di precetto contenente gli atti che ne costituiscono esercizio: precetti di portata generale (regolamenti, programmi, piani) o precetti concreti.

I poteri amministrativi possono essere, infine, distinti in poteri strumentali e poteri finali (i primi, ovviamente, sono attribuiti per l’ esercizio dei secondi): tipico potere strumentale è il potere organizzativo, del quale l’ amministrazione si serve per dotarsi di strutture idonee allo svolgimento di poteri finali (ad es., un comune istituisce una ripartizione urbanistica, assegnandovi un dirigente e altro personale, reclutato per concorso, per poter esercitare i compiti di pianificazione del territorio e di controllo sull’ attività edilizia dei privati).

Gli schemi di azione dei poteri amministrativi

L’ azione amministrativa si manifesta secondo alcuni schemi fondamentali, il primo dei quali è l’ autorizzazione (denominata anche licenza o nulla osta): essa presuppone un divieto, posto dalla legge, di svolgere una determinata attività; ma il divieto può essere rimosso dall’ autorizzazione, che viene rilasciata da un’ autorità amministrativa (è in questo senso che parte della dottrina, in relazione all’ autorizzazione, parla anche di divieto con riserva di permesso).

L’ autorizzazione si presenta, più precisamente, come un atto (successivo), attraverso il quale l’ amministrazione rimuove un limite all’ esercizio di un diritto (preesistente). Affermare, però, che prima dell’ autorizzazione c’è un diritto, comporta un forte vincolo a carico dell’ autorità amministrativa, la quale, infatti, può negare l’ autorizzazione solo qualora ricorrano i presupposti che la legge indica ai fini del diniego: ad es., il permesso di costruire può essere negato solo qualora il richiedente non sia proprietario del terreno o non ne abbia comunque la disponibilità ovvero se il progetto non sia conforme alla normativa urbanistica.

Un secondo schema di azione è, poi, quello della dichiarazione di inizio dell’ attività (D.I.A.): tale istituto, introdotto in materia edilizia, è stato generalizzato dalla L. 241/90, come tecnica di intervento pubblico alternativa all’ autorizzazione (occorre qui specificare che, insieme al silenzio-assenso, la D.I.A. costituisce una delle forme della liberalizzazione amministrativa, cioè della eliminazione o riduzione degli ostacoli di ordine amministrativo che si frappongono allo svolgimento di attività private). In tal modo, il privato interessato, invece di chiedere l’ autorizzazione, attenderne il rilascio e avviare l’ attività, può comunicare all’ autorità competente l’ intenzione di intraprendere l’ attività subordinata all’ atto di consenso; decorsi 30 gg. da tale comunicazione, egli può avviare l’ attività, dandone notizia all’ autorità. Questa, entro 30 gg. dalla seconda comunicazione, verifica l’ esistenza dei presupposti e dei requisiti che legittimano l’ attività e, in caso di accertamento negativo, può vietare al privato di proseguire l’ attività ovvero ordinare la rimozione dei suoi effetti [in altri termini, al controllo preventivo (autorizzazione), viene sostituito un controllo successivo ed eventuale, che può sfociare in un divieto].

Con una recente legge (d.l. 78/10, conv. in L. 122/10) la D.I.A. è stata sostituita dalla SCIA (Segnalazione certificata di inizio di attività). In particolare, secondo la formulazione dell’ art. 19 L. 241/90 (così come modificato dalla L. 122/10), l’ interessato, anziché attendere 30 gg. dalla dichiarazione per avviare l’ attività, può farlo subito; purché la segnalazione sia corredata dalle dichiarazioni sostitutive di certificazioni e dall’ atto di notorietà necessari, nonché dalle attestazioni e asseverazioni di tecnici abilitati.

Nel caso in cui accerti la carenza dei requisiti e presupposti richiesti per avviare l’ attività (imprenditoriale, commerciale, artigianale, etc.), l’ amministrazione competente può vietare la prosecuzione dell’ attività stessa entro 60 gg. [ovvero, a prescindere da tale termine, può esercitare i suoi poteri di autotutela (annullamento e revoca), qualora ne ricorrano i presupposti].

Un altro schema di azione è costituito dagli ordini e dai divieti disposti dall’ amministrazione; questi, a differenza di quelli posti dalla legge (ad es., divieto di uccidere o di invadere la proprietà altrui) sono legati a circostanze di fatto, il cui accertamento è devoluto all’ autorità amministrativa (gli ordini o i divieti interferiscono sul comportamento dei destinatari, limitandone la libertà di azione).

Un altro schema di azione è costituito, poi, dall’ abilitazione, la quale produce lo stesso effetto dell’ autorizzazione: consentire, cioè, al privato di fare ciò che, in assenza di una determinazione positiva dell’ autorità, sarebbe vietato. Il presupposto dei due istituti è, però, diverso, dal momento che l’ oggetto dell’ abilitazione non è (come accade per l’ autorizzazione) l’ esercizio di una libertà o di un diritto, che astrattamente compete a tutti, ma è lo svolgimento di un’ attività che richiede una qualificazione tecnica che il privato acquista con lo studio e con l’ esperienza e che viene verificata attraverso prove ed esami: in tal senso, l’ abilitazione è un atto di qualificazione giuridica (ad es., non basta la laurea in legge, ma occorre superare l’ esame di abilitazione ad avvocato per esercitare la relativa professione; ed una volta conseguita l’ abilitazione è necessaria l’ iscrizione all’ albo professionale).

Un altro schema di azione è dato dalla concessione, la quale rappresenta un beneficio che l’ amministrazione attribuisce al privato, il quale, ricevendolo, assume la posizione di privilegiato (rispetto ad altri), perché il beneficio non può essere conferito a tutti.

È bene precisare che la concessione si distingue dall’ autorizzazione, perché mentre la seconda rimuove un limite all’ esercizio di un diritto (preesistente), la prima conferisce un diritto (nuovo).

Oggetto di concessione sono, tradizionalmente, i beni demaniali, nel momento in cui una porzione di essi viene sottratta all’ uso pubblico per essere destinata all’ uso esclusivo di un soggetto, sul presupposto che quest’ uso valorizzi il bene (si pensi, ad es., alla spiaggia, porzione del demanio marittimo, che viene valorizzata dalla concessione al privato, che vi realizza uno stabilimento balneare).

L’ ambito della concessione è oggi stato esteso anche ai servizi e alle attività, delle quali il legislatore limita la possibilità di svolgimento ad un numero predeterminato di soggetti: abbiamo così, concessioni di servizi pubblici, concessioni di costruzione e gestione di opere pubbliche.

Rientrano, infine, tra le concessioni: le sovvenzioni, ossia i contributi pecuniari previsti a favore dei privati e soprattutto di imprese.

Un altro schema di azione è costituito dai vincoli. I beni privati possono essere tolti al proprietario con l’ espropriazione o ne può essere sottratto il possesso con l’ occupazione o la requisizione; tali beni, però, possono anche essere lasciati nella disponibilità del titolare ed essere sottoposti a vincoli. Tali vincoli possono essere preordinati ad un futuro trasferimento del bene ai pubblici poteri (si pensi, ad es., ai vincoli espropriativi stabiliti dal piano regolatore comunale, in vista dell’ espropriazione per realizzare impianti pubblici); i vincoli, però, possono essere stabiliti anche per assicurare la conservazione dei caratteri del bene (tali sono, ad es., i vincoli paesaggistici): in questo secondo caso, i vincoli comportano l’ assoggettamento del bene ad un determinato regime giuridico: ad es., la dichiarazione di interesse storico o artistico comporta limitazioni sia al potere di godimento del bene (divieto di modificare il bene senza autorizzazione), sia al potere di disposizione dello stesso (divieto di esportazione senza autorizzazione). Sotto questo profilo, anche i vincoli sono una specie del genere atti di qualificazione giuridica.

Altro schema di azione è costituito dai certificati rilasciati dalle amministrazioni: si tratta, in particolare, di documenti che hanno una funzione di ricognizione e riproduzione di stati, qualità personali e fatti contenuti in albi, elenchi o registri pubblici in possesso dell’ amministrazione (si pensi, ad es., al certificato di nascita, che riproduce il contenuto degli atti di stato civile). In passato, la certificazione è stata ritenuta una funzione propria dei pubblici poteri; la L. 241/90 ha introdotto, invece, il principio dell’ autocertificazione, in virtù del quale, qualora l’ interessato dichiari che fatti, qualità e stati sono attestati in documenti già in possesso dell’ amministrazione, il responsabile del procedimento provvede d’ ufficio alla loro acquisizione o alla copia degli stessi. All’ autocertificazione, la legislazione ha, poi, affiancato la certificazione privata: vi sono oggi, infatti, certificatori qualificati e accreditati, ossia soggetti privati abilitati a svolgere attività di certificazione, in grado di dimostrare l’ affidabilità organizzativa, tecnica e finanziaria necessaria [si pensi, ad es., alle Società organismi di attestazione (SOA), le quali sono chiamate a certificare la qualità delle imprese che concorrono all’ aggiudicazione di appalti pubblici].

Ulteriore schema di azione è costituito dai piani e programmi. In particolare, il piano prefigura azioni future, cercando di orientarle o vincolarle secondo un criterio di razionalità [ad es., il piano regolatore comunale disciplina gli usi del territorio, destinando quest’ ultimo in parte alla conservazione (centro storico), in parte alla trasformazione (zone produttive), in parte ad usi privati e in parte ad impianti pubblici].

Un’ ultima categoria di atti è costituita dalle sanzioni amministrative. Invero, l’ ordinamento, al fine di assicurare l’ osservanza dei suoi precetti fondamentali (volti, cioè, a garantire la convivenza tra le persone) li munisce di sanzioni penali: configura la violazione del precetto come reato, sanzionato da una pena (inflitta dal giudice). Quando, però, il precetto è meno essenziale (si pensi, ad es., alle regole del traffico), l’ ordinamento configura la trasgressione come illecito amministrativo e, come tale, punito con una sanzione amministrativa, applicata da un’ autorità amministrativa (ad es., il prefetto, il sindaco, etc.).

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