I tipi principali di attività amministrativa sono due:

  • Attività pubblicistica ed autoritativa. Si esprime mediante l’adozione dei provvedimenti amministrativi, i cui effetti si producono indipendentemente dal consenso degli amministrati. Si tratta essenzialmente di atti unilaterali conclusivi di procedimenti.
  • Attività privatistica e consensuale. Si pone in essere tramite l’adozione di strumenti pattizi. E’ un’attività ampiamente regolata dal diritto privato, sia pure con l’impiego di alcune misure amministrative.

 

Tra le attività possiamo distinguere:

  1. attività di funzione pubblica
  2. attività di servizio pubblico
  3. attività di impresa pubblica
  4. attività di regolazione pubblica dei mercati

Le situazioni giuridiche soggettive di cui può essere titolare l’amministrazione sono:

  • potere discrezionale e discrezionalità tecnica (nell’attività autoritativa)
  • autonomia negoziale (nell’attività privatistica)

Le situazioni giuridiche soggettive di cui può essere titolare l’amministrato sono:

  • interesse legittimo
  • diritto soggettivo

 

Le funzioni pubbliche

Funzione” sta ad indicare un’attività giuridicamente rilevante nel suo complesso. Il termine “funzione amministrativa”, emersa in un primo momento, è locuzione generale che può indicare l’insieme delle attività svolte dalle pubbliche amministrazioni.

La nozione di “funzione pubblica” si è consolidata alla fine dell’Ottocento, quando è sorta la distinzione fra pubbliche funzioni e servizi pubblici.

Funzione pubblica ha preso ad indicare le attività della pubblica amministrazione finalizzate a dettare prescrizioni; il concetto di servizio pubblico, invece, indica quelle attività finalizzate a fornire prestazioni ai cittadini.

Le funzioni pubbliche, quindi, sono tradizionalmente manifestazione della sovranità dello Stato. Si tratta infatti di attività che sono diretta espressione dell’autorità, e che normalmente vengono poste in essere mediante provvedimenti amministrativi.

Il concetto di funzione pubblica ha anche una rilevanza penale, sia per la tutela del pubblico ufficiale, sia per quanto concerne la responsabilità per i reati funzionali come peculato e concussione.

 

L’attività di servizio pubblico

L’attività di servizio pubblico consta essenzialmente di prestazioni e non di prescrizioni, distinguendosi quindi, come abbiamo già detto, dalla funzione pubblica in senso stretto.

Si tratta di attività che, a differenza delle funzioni pubbliche, possono essere svolte tanto da pubblici poteri che da soggetti privati.

La dottrina francese distingue fra servizi pubblici amministrativi, erogati da una pubblica amministrazione e soggetti a norme pubblicistiche; e servizi pubblici economici, gestiti da un’impresa pubblica o da un’impresa privata in partecipazione pubblica, soggetti a norme privatistiche. Tale distinzione è ripresa anche nel nostro ordinamento, nelle leggi sui servizi pubblici locali.

Nel sistema giuridico europeo è invece emerso il concetto di servizio universale, che trova applicazione ad alcune attività economiche, e da cui discendono una serie di obblighi e vincoli in capo all’operatore che svolge tale attività, come il dovere di fornire il servizio su tutto il territorio nazionale a prezzi contenuti ed abbordabili.

Questa disciplina si applica ad esempio nell’ambito delle telecomunicazioni, delle comunicazioni postali, ferroviarie e marittime.

Le attività economiche proprie del servizio universale sono riconducibili alla sfera dei servizi pubblici locali di natura imprenditoriale. Questi ultimi soffrono però l’ampia diffusione degli affidamenti in house, nonché la grande estensione dei regimi di esclusiva.

Allora la legge 124/2015 ha previsto la definizione di criteri per l’attribuzione di diritti speciali o esclusivi conformi alle direttive europee: le esclusive ed i monopoli si giustificano solo se indispensabili per la qualità e l’efficienza del servizio (principio di proporzionalità).

Riguardo al servizio pubblico possiamo distinguere due definizioni:

  • Definizione soggettiva. Il servizio pubblico si configura quando un’attività di prestazione è assunta in mano pubblica. Quel che conta è quindi l’assunzione da parte di un soggetto pubblico, indipendentemente dalle caratteristiche oggettive della prestazione.
  • Definizione oggettiva. Il servizio pubblico è un’attività di prestazione che presenta determinate caratteristiche oggettive, a prescindere dalla titolarità pubblica o privata del gestore.

Questa concezione sembra trovare riscontro nell’art.43 della Costituzione secondo cui possono essere assunte in mano pubblica attività che si riferiscono a servizi pubblici essenziali, presupponendo quindi che tali servizi posseggono qualità oggettive che rendono di rilevanza pubblica un determinato servizio a prescindere dall’assunzione in mano pubblica.

A prescindere dalla ricostruzione teorica del concetto di servizio pubblico, quel che emerge è che la regolazione dei servizi pubblici condiziona fortemente le scelte dell’imprenditore, venendo ad imporre obblighi che mai questi assumerebbe ove considerasse il proprio interesse commerciale.

 

L’attività di impresa pubblica

Le pubbliche amministrazioni possono svolgere direttamente attività di impresa: si parla, in tali casi, di imprese pubbliche.

Uno dei primi strumenti impiegati fu quello dell’amministrazione autonoma posta alle dipendenze di un ministro. Successivamente si è utilizzato l’ente pubblico economico. Oggi lo strumento più usato è quello della società in partecipazione pubblica, totale o parziale.

Possiamo distinguere:

  • Attività di mera impresa. Prevale l’aspetto della produzione e della vendita, come avviene per le attività industriali.
  • Servizio pubblico economico. Prevale l’aspetto delle prestazioni fornite agli utenti, come avviene per l’erogazione del servizio postale con Poste Italiane.

Il regime dell’impresa pubblica è dominato dal diritto privato. Restano norme derogatorie solo per alcuni aspetti, come quelli relativi al controllo sulle società in partecipazione pubblica.

L’impresa pubblica è sottoposta alle regole di concorrenza. Ma se l’impresa pubblica dà luogo ad un servizio pubblico economico, le regole di concorrenza non trovano applicazione per tutto ciò che è connesso all’adempimento della specifica missione affidata, come l’erogazione del servizio postale su tutto il territorio nazionale; le regole sulla concorrenza rimangono per i servizi di valore aggiunto, come ad esempio la posta celere.

A partire dagli anni Novanta si è avuta una forte tendenza alla privatizzazione di imprese pubbliche, sia di carattere formale che sostanziale.

La privatizzazione formale riguarda la trasformazione della forma organizzativa di gestione dell’attività di impresa pubblica, rimanendo però il capitale in mano pubblica.

Si ha invece privatizzazione sostanziale quando il capitale passa da mani pubbliche a mani private, in tutto o in parte, come avvenuto con ENEL.

Questa tendenza alla privatizzazione si è in parte arrestata dopo la crisi finanziaria del 2008, che sta riportando in auge progetti di nazionalizzazione di banche ed imprese finanziarie.

 

L’attività di regolazione pubblica dei mercati

L’attività di regolazione pubblica dei mercati può essere definita come l’insieme degli strumenti con i quali i pubblici poteri disciplinano imprese e soggetti privati.

Da un lato si hanno misure ed interventi diretti a disciplinare i diversi settori economici: si parla allora di regolazione settoriale. Dall’altro lato assistiamo a misure ed interventi antitrust, che applicano a tutti i settori economici la medesima disciplina finalizzata alla tutela della concorrenza, vietando concentrazioni ed abusi di posizione dominante.

Si pensi, ad esempio, al Fondo Monetario Internazionale, che svolge attività regolatorie molto rilevanti per i mercati.

La regolazione pubblica dei mercati è fondamentalmente attività pubblicistica. Restano però alcune parti privatistiche e consensuali. Ad esempio l’Autorità garante della concorrenza opera con provvedimenti amministrativi, come le sanzioni, ma può accettare impegni posti dalle imprese in procedure negoziate.

 

Potere discrezionale. Discrezionalità tecnica. Autonomia privata.

Il potere tipico che la pubblica amministrazione esprime ed esercita nelle attività autoritative è quello discrezionale, cioè la cosiddetta discrezionalità amministrativa.

Inizialmente il potere discrezionale era inteso come potere di adottare la scelta più opportuna nel perseguimento del pubblico interesse.

Dagli anni Trenta, con Massimo Severo Giannini, si è affermata una nuova definizione del potere discrezionale, fondata su una concezione pluralistica dei pubblici poteri. La premessa è che le pubbliche amministrazioni non perseguono un solo interesse pubblico, ma hanno dinanzi a sé una serie di interessi pubblici, collettivi, diffusi e privati.

In tale contesto il potere discrezionale della pubblica amministrazione consiste nella ponderazione fra tutti questi interessi. La ponderazione può anche portare ad una soluzione in cui l’interesse primario sia recessivo, per cui ad esempio non si procede più con l’espropriazione.

Il controllo del giudice amministrativo sul provvedimento non può riguardare il merito della scelta discrezionale, ma la legittimità. Il giudice, ad esempio, non può sindacare l’opportunità della decisione di espropriare o di non espropriare. Egli può però verificare la logicità, la congruenza, la razionalità, la proporzionalità del provvedimento.

L’estensione e l’intensità del sindacato giurisdizionale hanno progressivamente posto sempre più limiti all’esercizio del potere discrezionale della pubblica amministrazione.

La riduzione del potere discrezionale è dovuta anche all’art.12 della legge 241/1990 secondo cui la concessione di vantaggi economici di qualsiasi tipo a soggetti pubblici e privati deve essere preceduta dalla pubblicazione di criteri e modalità cui le amministrazioni stesse devono attenersi.

Nell’attività autoritativa la pubblica amministrazione può anche essere titolare di una diversa posizione giuridica, che si concreta nell’esercizio della cosiddetta discrezionalità tecnica.

La discrezionalità tecnica comporta l’applicazione di regole tecniche ad una determinata fattispecie. Non vi è una ponderazione, ma l’applicazione di regole o di standard tecnici.

La giurisprudenza ha poi introdotto il concetto di “valutazione tecnica complessa”. E’ il caso di materie di particolare complessità in cui si applicano regole di scienze non esatte, in attuazione di norme contenenti clausole generali o concetti indeterminati.

Secondo il Consiglio di Stato, il sindacato giudiziale può censurare macroscopiche illegittimità, illogicità ed incongruenze manifeste, evidenti errori di fatto ed inesatte applicazioni di regole tecniche.

Quando l’amministrazione contratta, o stipula convenzioni, sta invece su un piano di parità con il privato, non avendo più il potere di incidere unilateralmente sulla sua sfera giuridica.

Tutto si basa sul consenso, e gli eventuali momenti pubblicistici intervengono prima del contratto o della convenzione, come accade ad esempio con la procedura ad evidenza pubblica, oppure in un momento successivo, come la revoca di una concessione per motivi di interesse pubblico.

Per i contratti e le convenzioni vi è un’applicazione totale della disciplina privatistica, mentre per quanto riguarda gli accordi integrativi o sostitutivi del provvedimento, per i quali valgono solo i principi del codice civile in quanto compatibili.

 

Interesse legittimo e diritto soggettivo

La distinzione fra interesse legittimo e diritto soggettivo è storicamente collocata nella questione del riparto delle giurisdizioni tra giudice ordinario e giudice amministrativo.

La legge del 1865 sul contenzioso amministrativo stabilì di devolvere al giudice ordinario tutte le cause nelle quali si faceva questione di un diritto civile o politico.

Potevano però esservi situazioni in cui il privato, nei confronti della pubblica amministrazione, non era titolare di un diritto civile o politico. La tutela di queste situazioni fu affidata alle stesse autorità amministrative (attenzione: non al giudice amministrativo!).

In definitiva era riconosciuta un’autentica tutela giurisdizionale per i diritti soggettivi dell’amministrato nei confronti della pubblica amministrazione; ed una tutela meramente amministrativa per le situazioni non qualificabili come diritti soggettivi.

Nel 1889 il legislatore interviene per assicurare una tutela più adeguata alle situazioni soggettive non qualificabili come veri e propri diritti. Viene così istituita la Quarta Sezione del Consiglio di Stato affidando ad essa la competenza a decidere i ricorsi per incompetenza, eccesso di potere o violazione di legge contro provvedimenti della pubblica amministrazione; ricorsi che abbiano ad oggetto un interesse di individui o di enti, quando tali ricorsi non siano di competenza dell’autorità giudiziaria. Alla Quarta Sezione si attribuisce il potere di annullare i provvedimenti affetti da vizi quali, appunto, incompetenza eccesso di potere e violazione di legge.

Il primo ad elaborare la teoria dell’interesse legittimo è Oreste Ranelletti. Secondo tale teoria, di fronte ai poteri autoritativi della pubblica amministrazione, l’amministrato è titolare di un interesse privato che, per la sua realizzazione, è strettamente condizionato al perseguimento di un interesse pubblico. In sostanza l’amministrato ha un interesse a che l’interesse pubblico sia perseguito secondo legalità.

In una prima fase, la categoria dell’interesse legittimo è una situazione giuridica di rilevanza meramente processuale: la sua tutela è solo successiva all’adozione del provvedimento; tale tutela consiste sostanzialmente nel ricorso alla Quarta Sezione del Consiglio di Stato.

Successivamente si è arrivati a qualificare l’interesse legittimo come situazione sostanziale, meritevole di tutela anche prima che venga adottato il provvedimento.

In sostanza, tra amministrazione ed amministrato vi è un rapporto che pre-esiste alla decisione amministrativa e pertanto, nel corso del procedimento che conduce al provvedimento, l’amministrazione ha l’obbligo di tenere in adeguata considerazione le osservazioni dell’amministrato, a pena di invalidità.

Il diritto soggettivo ha invece di fronte a sé una situazione passiva dell’amministrazione, di dovere o di obbligo, come accade nell’attività privatistica della pubblica amministrazione.

Il maggior effetto concreto della distinzione tra diritto soggettivo ed interesse legittimo è stata l’individuazione del giudice competente.

Tradizionalmente, al giudice ordinario si attribuisce la conoscenza dei diritti soggettivi, mentre al giudice amministrativo quella degli interessi legittimi.

Importante, riguardo alla questione del riparto delle giurisdizioni, è il criterio della materia, secondo il quale si individua la giurisdizione competente in base alla materia trattata.

Ad esempio la materia del pubblico impiego è attribuita al giudice ordinario, mentre i servizi pubblici sono materie esclusive del giudice amministrativo.

La Corte Costituzionale ha precisato che affinché sussista la giurisdizione amministrativa esclusiva non basta il solo criterio della materia, ma occorre che l’amministrazione pubblica agisca in veste di autorità. In sostanza non ci si può basare sul mero dato oggettivo della materia, ma è necessario considerare anche la natura delle situazioni soggettiva coinvolte. In particolare, secondo la Corte, il giudice amministrativo è giudice degli interessi legittimi, e può conoscere anche di diritti soggettivi nelle particolari materie indicate dalla legge.

L’art. 7 del codice del processo amministrativo ha innovato sul punto, stabilendo che sono devolute al giudice amministrativo le controversie nelle quali si faccia questione di interessi legittimi e, nelle particolari materie indicate dalla legge, di diritti soggettivi concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo, o riguardanti provvedimenti, accordi o comportamenti riconducibili all’esercizio di tale potere.

Un’altra importante conseguenza della distinzione tra interessi legittimi e diritti soggettivi è stato quello del risarcimento del danno ingiusto causato dalla pubblica amministrazione, tradizionalmente ammesso solo per la lesione di diritti soggettivi, e non di interessi legittimi.

La tutela risarcitoria era ammessa solo per gli interessi legittimi oppositivi, qualora vi fosse comunque un diritto soggettivo preesistente come la proprietà: si pensi al proprietario che si oppone all’espropriazione.

Il pieno riconoscimento della risarcibilità degli interessi legittimi si è ammessa poi in assenza di un diritto soggettivo preesistente, come nei casi di lesione dei cosiddetti interessi legittimi pretensivi. Si pensi al privato al quale viene negata un’autorizzazione con un provvedimento illegittimo: qui si può procedere ad un risarcimento ex art.2043 c.c.

Rimane un’unica differenza tra il risarcimento per violazione dei diritti soggettivi ed il risarcimento per lesione di interessi legittimi. In questo ultimo caso l’azione dinanzi al giudice amministrativo può proporsi entro i termini di decadenza, mentre per la violazione dei diritti soggettivi entro i termini di prescrizione.