Il comma 1 dell’art. 21 septies della legge 241/1990, sancisce la nullità del provvedimento amministrativo adottato in violazione o elusione del giudicato.

Violazione del giudicato: l’amministrazione si ostina a non rispettare la statuizione giurisprudenziale passata in giudicato, emanando provvedimenti formali che con questa si pongono in diretto contrasto

Elusione del giudicato: l’amministrazione si ostini a non rispettare la statuizione giurisprudenziale passata in giudicato, emanando provvedimenti che con questa si pongono in diretto contrasto, ma tendono a farlo in maniera surrettizia, cioè un’azione operata in maniera ambigua, di nascosto; un atto in cui viene taciuta intenzionalmente qualche circostanza fondamentale.

Secondo l’orientamento espresso dal Consiglio di Stato sez. IV, 6-10-2003, n. 5820, il vizio di elusione del giudicato ricorre sia nel caso in cui l’Amministrazione eserciti nuovamente la medesima potestà pubblica, già illegittimamente esercitata, in contra- sto con il puntuale contenuto precettivo del giudicato amministrativo, sia quando la stessa cerchi di realizzare il medesimo risultato con un’azione connotata da un manifesto sviamento di potere, mediante l’esercizio di una potestà pubblica formalmente diversa in palese carenza dei presupposti che lo giustificano. Quando l’amministrazione, a fronte della sentenza a se sfavorevole, sia rimasta inerte, ovvero abbia esplicitamente dichiarato di non voler ottemperare al giudicato, l’azione esperibile sarà senza dubbio quella volta ad introdurre il giudizio di ottemperanza.

Del pari, quando l’ottemperanza al giudicato risulti solo parziale, sarà sempre esperibile il ricorso in ottemperanza per l’esecuzione delle statuizioni rimaste inosservate.

La particolare circostanza che, nei due casi di violazione ed elusione del giudicato, l’atto sia nullo ope legis, produce rilevanti riflessi tanto sul regime dell’azione quanto sull‘ambito della cognizione del giudice.

Sotto il primo profilo, l’azione sembra qui assumere il carattere dell’imprescittibilità;

Sotto il secondo profilo, nei casi di violazione o elusione del giudicato anche il contenuto della sentenza di ottemperanza è destinato ad arricchirsi nella sua parte “di cognizione”:

la pronuncia avrà anzitutto un contenuto di accertamento della ricorrenza delle cause di nullità;

essa poi, prendendo le mosse dalla sentenza originaria (violata o elusa) disporrà quanto necessario per fissare i parametri dell’azione amministrativa al fine di perseguire la effettiva attuazione del giudicato (attività esecutiva e di ottemperanza).

Ci si chiede se, qualora la PA violi o eluda il giudicato, il legislatore abbia inteso imporre al privato l’onere di agire non sulla base del ricorso in ottemperanza, bensì con il rito ordinario di cognizione. Tale approccio però non soddisfa: manca infatti la tutela per il cittadino, in più la giurisdizione esclusiva attiene alla natura delle situazioni soggettive azionabili, ed è cosa differente dalla forma e dalla procedura (che possono in ogni caso seguire il giudizio d’ottemperanza). Inoltre sia l’impescrittività dell’azione, sia la cognizione del giudice sono proprie dell’ottemperanza.

Il ricorrente non potrà pretendere una piena esecuzione della sentenza, i cui contenuti precettivi siano contraddetti da sopravvenienze di fatto e di diritto, intervenute fino alla notifica della sentenza da eseguire. Il ricorrente comunque potrà ottenere un risarcimento per illegittimo comportamento della PA. Il giudizio di ottemperanza

Il giudizio di ottemperanza alle sentenze definitive del giudice amministrativo costituisce la risposta operativa all’esigenza primaria che la parte soccombente si adegui alla decisione resa dal giudice.

Il giudizio di ottemperanza è stato trattato da diverse leggi, come la legge TAR (1971) che prevedeva tale giudizio sia nei riguardi delle sentenze del giudice ordinario quanto per quelle del giudice amministrativo, fino ad arrivare all’ultima tappa dell’evoluzione normativa che si rinviene nella legge 205/2000 con la quale si è esteso tale giudizio anche alle sentenze di primo grado, soggette ad impugnazione, oltre che alle ordinanze cautelari.

Il giudizio di ottemperanza si caratterizza quale strumento idoneo a rendere concrete le statuizioni contenute nella sentenza in cui esso trova il suo titolo e, in definitiva, a garantire l’effettività della tutela giurisdizionale.

I presupposti processuali del giudizio di ottemperanza sono due:

  • la esistenza di una sentenza passata in giudicato del giudice, ordinario o amministrativo;
  • la previa proposizione di una diffida a provvedere inoltrata all’amministrazione.

 

Non costituisce presupposto processuale l’inadempimento dell’amministrazione del giudicato: tale elemento è, viceversa e più propriamente, parte dell’oggetto del giudizio, poiché su di esso si appunta un’attività di accertamento demandata dal giudice.

Le sentenze insuscettibili di ottemperanza

Si tratta di sentenze autoesecutive (la capacità esecutiva, cioè, si esaurisce nell’effetto demolitorio):

  • Pronunce che annullano i provvedimenti negativi di controllo
  • Sentenze che annullano taluni atti sanzionatori
  • Decisioni di carattere meramente processuale
  • Decreto del Presidente della Repubblica che decida su ricorso straordinario

Si definiscono sentenze autosatisfattive (o autoesecutive) quelle la cui capacità esecutive si esaurisce nell’effetto demolitorio.

Esempi:

  • pronunce che annullano provvedimenti negativi di controllo, restituendo così piena efficacia all’atto controllato, senza che occorra da parte dell’amministrazione una specifica attività di adeguamento;
  • sentenze che annullano taluni atti sanzionatori (sanzione disciplinare dell’ammonimento);
  • sentenze che annullano provvedimenti amministrativi di autotutela demolitoria (revoche, annullamenti d’ufficio), ripristinando gli effetti dell’atto oggetto del procedimento di secondo grado.

In tutti questi casi il giudizio di ottemperanza è ritenuto inammissibile, in quanto la sentenze è qui idonea di per sé a soddisfare compiutamente l’interesse del ricorrente.

Inoltre la inammissibilità del giudizio di ottemperanza è stata sancita relativamente ai ricorsi in ottemperanza proposti in esito a decisioni avente carattere meramente processuale e prive di statuizioni di merito.

Inammissibile l’ottemperanza promossa avverso le sentenze di rigetto, sul presupposto che esse lascino immutato il preesistente assetto giuridico dei rapporti.

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