La giustiziabilità degli interessi meta-individuali nella società globale del rischio

Situazioni meta- individuali (o diffuse) sono quelle caratterizzate da un debole profilo soggettivo, ma da una forte rilevanza sociale. Ultimamente si è accresciuta la sensibilità della società, e ciò ha comportato un rinnovato interesse verso tali azioni.

Mentre negli anni ’70 l’associazionismo aveva lo scopo di garantire i minimali di qualità della vita, oggi si tende a proteggere invece gli individui da pericoli connessi alle nuove tecnologie, inquinamento o cambiamenti climatici. Il processo amministrativo tuttavia non sempre è stato capace di tutelare tali bisogni; oggi più che mai l’individuo dovrebbe però essere posto al centro delle scelte pubbliche. Proprio per questo motivo sono necessarie forme di informazione, consultazione, negoziazione, ed il giudice amministrativo non può esimersi dal tutelare anche tali interessi meta-individuali, essendo questi non riferibili ad alcun soggetto in particolare e dunque in astratto non giurisdizionalmente tutelabili.

Certamente il giudice non può porsi come tutore di tali situazioni, perché tale compito spetta alle amministrazioni, ma in caso di loro cattiva gestione deve poter intervenire per soddisfare le esigenze della società. L’ampliarsi della sfera dei soggetti legittimati a proporre ricorso, risulta essere il naturale completamento degli strumenti di controllo dell’azione amministrativa, insieme a quelli di partecipazione democratica.

 

La legittimazione speciale ex lege delle associazioni riconosciute

L’ordinamento ha previsto, soprattutto per le due categorie più importanti di interessi diffusi (tutela dei beni ambientali e tutela del consumatore), un meccanismo astratto per individuare i soggetti collettivi deputati a fare in modo che tali interessi vengano protetti.

È dunque prevista una speciale legittimazione ex lege per le associazioni che hanno ottenuto il riconoscimento ministeriale in base a determinati requisiti (rappresentatività e democraticità) indicati negli statuti. Tale legittimazione esiste a prescindere dalla dimostrazione della lesione di una posizione di vantaggio qualificata dall’ordinamento.

Nella pratica però tale individuazione appare più complessa, ed è ancora una volta la giurisprudenza a delimitarne gli aspetti, sulla base di un acceso dibattito non ancora risolto.

 

L’ampliamento della giustiziabilità degli interessi meta-individuali

La giurisprudenza ha cercato di allargare sempre più le maglie del processo amministrativo, applicando a situazioni di vantaggio inidonee ad essere considerate nel processo, i caratteri della legittimazione ad agire propria dei portatori di interessi legittimi.

Il criterio della vicinitas (o stabile collegamento) nacque nel 1970, quando il consiglio di stato decise sull’interpretazione restrittiva che era stata data ad una legge che consentiva a chiunque di ricorrere contro la licenza edilizia rilasciata ad altri soggetti.

La decisione dei giudici permise di ampliare l’area dei legittimati al ricorso, pur non introducendo ancora un’azione popolare.

Soprattutto in passato i giudici amministrativi richiedevano da parte del ricorrente la prova dell’effettivo pregiudizio subito, pregiudizialmente verificando la personalità e l’attualità della lesione subita. Ma nell’attuale società tale schema non è più in grado di garantire effettiva tutela, e perciò una parte della giurisprudenza amministrativa propende per accogliere una prospettiva di tutela più ampia.

L’ampliamento si è avuto prendendo le mosse dal concetto di “stabile collegamento”, sia ammettendo anche pretese legate in modo più tenue al bene inciso,sia escludendo la valutazione preliminare sul pregiudizio subito dal ricorrente.

Parte della dottrina fa derivare la tutela degli interessi meta – individuali dal disposto dell’art.118 Cost., che riconosce l’apporto diretto dei singoli e delle loro formazioni sociali nella gestione diretta di attività amministrative.

Si finisce così per riconoscere la legittimazione ad agire anche a comitati spontanei di cittadini, anche se privi dei requisiti di rappresentatività e organizzazione necessari per il riconoscimento ministeriale.

Di segno opposto invece il Consiglio di Stato, che ha precisato che l’art.118 Cost. si riferisce a forme più evolute di esercizio di attività amministrativa, e come tale non suscettibile di incidere sui cittadini della funzione giurisdizionale.

 

Le azioni collettive

Il legislatore, per conformarsi anche ai principi comunitari, ha previsto l’istituzione di una nuova azione azione processuale per rendere più efficace la giustizi abilità delle situazioni giuridiche a carattere diffuso. Ha disciplinato dunque l’istituto dell’azione collettiva risarcitoria, che però purtroppo non sembra essere chiara in quanto mutuata dall’ordinamento anglosassone, e difficilmente inseribile nella nostra realtà. Unici soggetti legittimati a proporre l’azione sono gli organismi associativi, ossia le associazioni di categoria che hanno ottenuto il riconoscimento ministeriale, e le associazioni e i comitati che pur privi dell’iscrizione risultino adeguatamente rappresentativi degli interessi collettivi fatti valere.

Non si può dunque parlare di class action anglosassone, in quanto in quest’ultima anche un singolo cittadino può proporre il giudizio anche nell’interesse di una pluralità di soggetti, mentre qui sono legittimati solo centri di imputazione facenti capo ad organismi comunque rappresentativi.

Sembra in ogni caso però apprezzabile lo sforzo del legislatore nel senso di ampliare il novero dei soggetti legittimati, sforzo che deve essere affiancato anche dalla sensibilità dei vari giudici nella valutazione del criterio.

Tali soggetti sono legittimati a richiedere al tribunale del luogo in cui ha sede l’impresa l’accertamento dei diritto al risarcimento del danno e alla restituzione delle somme spettanti ai singoli consumatori o utenti nell’ambito di rapporti giuridici relativi a contratti stipulati ex art.1342 c.c., ovvero in conseguenza di atti illeciti extracontrattuali, di pratiche commerciali scorrette o di comportamenti anticoncorrenziali.

Certamente, spesso può essere molto difficoltoso valutare il contenuto patrimoniale di un interesse collettivo, dovendo considerarsi il danno prodotto nella sua globalità. Da segnalare che il termine “impresa” utilizzato, non esclude la pubblica amministrazione quando eserciti un’attività a carattere non autoritativo, come nel caso di gestione diretta dei servizi pubblici.

La recentissima L.15/2009 ha dettato al Governo principi e criteri per disciplinare anche un’altra azione collettiva, non a carattere risarcitorio, per consentire ad ogni interessato di agire in giudizio nei confronti delle amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici per la lesione di interessi giuridicamente rilevanti per una pluralità di utenti o consumatori, a causa della violazione di standard qualitativi o di obblighi contenuti nelle carte dei servizi, per l’omesso esercizio dei poteri di vigilanza, controllo o sanzionatori e per la violazione dei termini o la mancata emanazione di atti amministrativi generali.

La norma, che devolve il giudizio alla giurisdizione esclusiva e di merito del giudizio amministrativo, indica tra i criteri direttivi la circostanza che la proposizione dell’azione sia consentita anche ad associazioni o comitati a tutela dei propri associati.

Il giudizio deve però essere strutturato come quello d’ottemperanza, deve cioè essere preceduto da una diffida all’amministrazione o al concessionario ad assumere, entro un termine fissato per legge, le iniziative utili per soddisfare gli interessati.

All’esito del giudizio il giudice può ordinare all’amministrazione e al concessionario di porre in essere le misure idonee a porre rimedio alle violazioni, alle omissioni o ai mancati adempimenti e, in caso di perdurante inadempimento, può anche disporre la nomina di un commissario ad acta.

 

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