Evoluzione della responsabilità dell’amministrazione

La regola della responsabilità della pubblica amministrazione e dei suoi dipendenti per i danni causati a terzi si è affermata con molta gradualità.

A) In Francia la soluzione iniziale era quella dell’irresponsabilità dello Stato, fatta discendere dalla puissance publique.

La responsabilità dello Stato fu ammessa solo dal noto arret Blanco del 1873: qui il giudice afferma che la responsabilità dello Stato per i danni arrecati ai privati da dipendenti del servizio pubblico è sottoposta a regole speciali. Si configura quindi una responsabilità dello Stato soggetta al diritto amministrativo.

Rimaneva però aperta la questione dell’imputazione della responsabilità: si doveva considerare tenuta al risarcimento la pubblica amministrazione oppure il solo dipendente che aveva agito?

La questione fu risolta dalla giurisprudenza distinguendo tra colpa del funzionario totalmente estranea all’esercizio della funzione, e colpa di servizio, legata all’esercizio della funzione. Solo nel secondo caso la responsabilità si estendeva alla pubblica amministrazione.

B) I sistemi di common law sono stati sempre coerenti nell’affermare che i funzionari delle amministrazioni rispondessero secondo le regole ordinarie dei torts.

Ma è stato necessario attendere fino agli anni Quaranta prima che si ammettesse la responsabilità della pubblica amministrazione per danni prodotti a terzi.

C) Anche in Italia il cammino verso il riconoscimento della responsabilità della pubblica amministrazione è stato lungo, ed è intervenuto negli anni Trenta in decisioni giurisprudenziali della Corte di Cassazione.

Dopo l’emanazione del codice civile questa giurisprudenza si consolida, sottolineando che la pubblica amministrazione era soggetta all’art.2043 c.c. nonché alle norme relative a fattispecie particolari di responsabilità extracontrattuale, come la responsabilità per l’esercizio di attività pericolose (art.2050: inversione dell’onere della prova).

 

La responsabilità dell’amministrazione nell’ordinamento italiano

La Costituzione contiene una norma generale in materia di responsabilità della pubblica amministrazione e dei suoi funzionari. L’art.28 dispone infatti che: “I funzionari ed i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili ed amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato ed agli enti pubblici”.

All’inciso “atti compiuti…” è da attribuire ampio significato, comprendente anche i provvedimenti amministrativi e le misure negoziali.

Alla formula “in violazione di diritti” deve essere attribuita una valenza generale, nel senso che siano inclusi anche gli interessi legittimi.

Vi è quindi responsabilità civile sia dell’impiegato, sia dell’amministrazione. L’impiegato risponde soltanto per dolo o per colpa grave, mentre l’amministrazione è responsabile anche per colpa lieve. Si tratta di due responsabilità che possono farsi valere entrambe in via diretta.

Il privato danneggiato può chiamare in causa direttamente anche la sola pubblica amministrazione, e si tratta infatti di una via che dà maggiori garanzie patrimoniali. Eventualmente poi l’amministrazione può rivalersi, dinanzi alla corte dei conti, nei confronti del dipendente o del funzionario qualora vi sia dolo o colpa grave. Nell’ipotesi in cui il dipendente abbia agito per un fine privato ed egoistico, estraneo all’amministrazione, vi è responsabilità del solo dipendente perché manca l’imputabilità dell’atto alla struttura amministrativa.

Rilevante è la problematica dei limiti della responsabilità civile della pubblica amministrazione quando il fatto che cagiona il danno è un provvedimento amministrativo. In particolare ci si chiede se la violazione di interessi legittimi può dar luogo a danno ingiusto con conseguente obbligo al risarcimento?

La giurisprudenza per anni ha escluso la risarcibilità della lesione degli interessi legittimi, sulla base di un’interpretazione dell’art.2043 che fa discendere la risarcibilità dalla qualificazione dell’interesse danneggiato come diritto soggettivo perfetto.

La Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione, con la storica sentenza 500/1999, superando l’interpretazione tradizionale dell’art.2043, ha affermato che è risarcibile ogni danno che presenti il carattere dell’ingiustizia, e cioè il danno arrecato non iure, il danno privo di giustificazione giuridica che lede un interesse meritevole di tutela.

Dunque, ai fini della configurabilità della responsabilità civile della pubblica amministrazione, non è più determinante la qualificazione formale della situazione giuridica lesa come diritto soggettivo perfetto: la tutela risarcitoria trova suo presupposto nell’ingiustizia del danno, qualunque sia la qualificazione giuridica formale dell’interesse leso.

In definitiva vi può essere una responsabilità civile della pubblica amministrazione, con conseguente obbligo al risarcimento del danno ingiusto, anche nel caso di interessi legittimi, riconosciuti infatti come meritevoli di tutela e posti su un piano di dignità pari a quella propria dei diritti soggettivi perfetti.

Ad ogni modo, affinché vi sia colpa dell’amministrazione, non è sufficiente rilevare l’illegittimità del provvedimento, né accertare la negligenza o l’imperizia del funzionario, ma è indispensabile svolgere una più estesa indagine sulla colpa della pubblica amministrazione come apparato, che sussiste quando l’adozione e l’esecuzione del provvedimento lesivo siano avvenute in violazione dei principi di imparzialità, correttezza e buona amministrazione.

Una simile conclusione ha reso difficile per il danneggiato, su cui incombe l’onere della prova, dimostrare la colpa dell’amministrazione.

E’ allora emersa una tesi giurisprudenziale secondo cui la responsabilità della pubblica amministrazione per lesione di interessi legittimi sia una responsabilità da contatto. In sostanza, nell’ambito del procedimento vi sarebbe un contatto fra l’amministrazione e l’amministrato, che darebbe vita ad un rapporto giuridico che presenterebbe le caratteristiche del contratto; si potrebbe quindi applicare la disciplina della responsabilità contrattuale (art.1218 c.c.), con conseguente inversione dell’onere della prova, essendo il debitore che non ha eseguito correttamente la prestazione a dover provare che l’inadempimento non è a lui imputabile: sarebbe l’amministrazione a dover dimostrare di non aver violato i principi di imparzialità, correttezza e buona amministrazione.

Ad ogni modo una parte della giurisprudenza continua ad applicare l’art.2043 ponendo a carico dell’amministrato l’onere di provare l’illecito e la colpa dell’apparato amministrativo.

Delle questioni concernenti il risarcimento del danno ingiusto causato dalla pubblica amministrazione si occupa il giudice amministrativo. Il giudice ordinario resta competente a conoscere del danno in dispute non riconducibili alla giurisdizione amministrativa.

L’art.7 del codice del processo amministrativo stabilisce infatti che la giurisdizione amministrativa riguarda controversie concernenti l’esercizio o il mancato esercizio del potere amministrativo.

Di conseguenza, il giudice ordinario può disporre il risarcimento del danno in controversie relative a meri comportamenti dell’amministrazione, non riconducibili all’esercizio del potere amministrativo (come ad esempio le dispute aventi ad oggetto la mancata manutenzione del suolo stradale).

 

La responsabilità amministrativa

La responsabilità amministrativa impone il risarcimento del danno che viene a subire l’amministrazione pubblica per l’operato di funzionari ed amministratori. Il giudice competente è la Corte dei Conti.

 

Vi sono due ipotesi:

  • azioni od omissioni di amministratori o funzionari che, con dolo o colpa grave, hanno causato un danno ingiusto a terzi, chiamando in causa l’amministrazione come apparato
  • azioni od omissioni di amministratori o funzionari che, con dolo o colpa grave nell’esercizio delle funzioni, hanno arrecato direttamente all’amministrazione un danno ingiusto, ossia il cosiddetto danno erariale.

Perché vi sia responsabilità non è sufficiente la violazione di un dovere d’ufficio o l’adozione di un atto illegittimo, ma è necessario che vi sia stato un danno ingiusto.

La responsabilità amministrativa è individuale. Se vi è stato un atto collegiale sono esenti da responsabilità sia coloro che hanno votato contro, sia coloro che non hanno partecipato alla votazione, sia gli astenuti.

Il regime di responsabilità si estende anche coloro che a qualunque titolo svolgono compiti per un’amministrazione pubblica. Come ha precisato la Cassazione, affinché vi sia responsabilità amministrativa, è sufficiente che esista una relazione funzionale tra l’autore dell’illecito causativo del danno e l’amministrazione pubblica che l’ha subito.

In sostanza la responsabilità è configurabile anche quando il soggetto, benché estraneo all’amministrazione, venga investito, anche di fatto, dello svolgimento di una determinata attività in favore della pubblica amministrazione.

La responsabilità amministrativa può valere anche per gli amministratori e per i dipendenti pubblici economici e di società con partecipazione pubblica, ad eccezione delle società quotate con partecipazione pubblica inferiore al 50%. La giurisprudenza ha ritenuto infatti che la veste formale di “società” non oscura la sostanza della presenza del capitale pubblico.

La responsabilità amministrativa può valere anche a carico degli amministratori e dei dipendenti di società a partecipazione pubblica in house, poiché in tal caso può considerarsi superata l’autonomia della persona giuridica rispetto all’amministrazione pubblica.

Un decreto legislativo del 2016 ha poi confermato questa via, disponendo che i componenti degli organi di amministrazione delle società partecipate sono soggetti alle azioni di responsabilità previste nel codice civile, salva la giurisdizione della Corte dei conti solo per amministratori e dipendenti delle società in house.

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