Il tema della responsabilità dello Stato (e, quindi, dell’ amministrazione pubblica) per i danni cagionati a terzi ha sempre costituito un punto molto importante e, allo stesso tempo, controverso del nostro sistema giuridico; ciò risulta confermato dal processo e dall’ evoluzione storica degli orientamenti della dottrina e della giurisprudenza. Invero, nella seconda metà del XIX sec. la situazione nel nostro Paese si presentava molto articolata: ai fini della responsabilità dell’ amministrazione per danni cagionati a terzi, la nostra giurisprudenza, infatti, distingueva tra atti di imperio (contro i quali non era prevista nessuna responsabilità dello Stato e degli enti pubblici) e atti di gestione (per i quali, invece, veniva riconosciuta la responsabilità dello Stato e degli enti pubblici secondo le regole comuni). La distinzione tra atti di imperio e atti di gestione veniva fedelmente espressa in una sentenza della Corte di Cassazione del 1897: in questa pronuncia, infatti, il Supremo Collegio stabilì che il comune di Roma non poteva essere chiamato a rispondere del furto di animali, avvenuto nella stalla comunale, ai danni di chi aveva depositato gli animali in vista della successiva macellazione nel mattatoio pubblico; e ciò perché, essendo la custodia temporanea delle bestie strumentale alla successiva macellazione (che era funzione di governo e non mera gestione patrimoniale), non potevano trovare applicazione i princìpi contrattuali sulla responsabilità del depositario.

La sentenza in esame, tuttavia, fu aspramente criticata dalla dottrina, la quale negava che la distinzione tra atti di imperio e atti di gestione potesse essere posta a base del regime della responsabilità civile della pubblica amministrazione; e questo perché anche un atto di imperio (un atto amministrativo illegittimo) poteva essere illecito, in presenza di un concorso di colpa del funzionario (anche in tal caso si cagionava, cioè, un danno verso terzi; un danno che dava diritto al risarcimento del danno); non poteva, quindi, escludersi una responsabilità civile della pubblica amministrazione nell’ esercizio di un potere amministrativo (o di imperio).

In virtù di queste considerazioni, nel XX sec. la distinzione tra atti di imperio e atti di gestione, come criterio utilizzato per determinare il regime della responsabilità, venne abbandonata e si affermò, pertanto, il principio dell’ ammissibilità della responsabilità della pubblica amministrazione in ogni caso, indipendentemente dalla natura del potere esercitato (di imperio o di gestione).

Tutto ciò in teoria, perché nella pratica, almeno fino alla pronuncia della Cassazione 500/99, la giurisprudenza ha ragionato in questi termini: poiché il danno ingiusto presuppone la lesione di un diritto soggettivo (ma non di un interesse legittimo), perché contra jus, e all’ atto amministrativo viene attribuito l’ effetto di degradare il diritto soggettivo a interesse legittimo, il danno prodotto dall’ atto amministrativo (e, quindi, nell’ esercizio di un potere di imperio) non è risarcibile (a meno che il giudice amministrativo non annulli l’ atto, facendo rivivere il diritto soggettivo).

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