La norma sulla sospensione del provvedimento impugnato

Prima della L.205/2000 vi era una sola misura cautelare e tipica, la sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato.

Nel 1985 la Corte Cost. aveva stabilito che nelle materie di pubblico impiego il giudice amministrativo potesse adottare i provvedimenti più idonei per assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito. Ma in ogni caso fu data a tale istituto scarsa applicazione.

Le norme che regolavano la tutela cautelare erano così riassunte: “Il giudice amministrativo sospende l’esecuzione del provvedimento amministrativo quando il ricorrente alleghi danni gravi ed irreparabili”. Le norme che la regolavano erano poche, poiché la misura cautelare era vista come un incidente di percorso di scarsa applicazione.

Ma successivamente vi fu una forte domanda di giustizia amministrativa, è ciò comportò giudizi troppo lunghi, e necessità di tutela urgente.

Ma alla base del processo amministrativo vi era l’impugnazione del provvedimento amministrativo e la misura cautelare tipica era la sospensione di questo.

L’atto della PA era considerato lesivo perché idoneo a produrre modifiche unilaterali nella sfera giuridica del destinatario. Me tale configurazione era inadeguata quando oggetto dell’impugnazione era un provvedimento negativo della PA (diniego di autorizzazione) o il suo silenzio. Qui la sospensione del provvedimento era inutile e tali situazioni rimanevano prive di tutela.

 

L’interpretazione della norma nella giurisprudenza

L’evoluzione della giurisprudenza è stata di ampliare la possibilità di tutela cautelare.

Nel 1940: si procede a distinguere tra esecuzione istantanea e continuativa (solo la seconda poteva essere sospesa).

Nel 1960: si cambia orientamento circa la non so spendibilità degli atti negativi.

 

Le misure cautelari atipiche ed il carattere della strumentalità

L.205/2000: la misura cautelare diventa atipica.

Il giudice amministrativo può emanare le misure cautelari, compresa l’ingiunzione a pagare una somma, che appaiono, secondo le circostanze, più idonee ad assicurare interinalmente (“provvisoriamente” del c.p.c.) gli effetti della decisione sul ricorso (“sul merito” del c.p.c.) -> Art. 700 c.p.c.

Ma l’art. 700 è sì una misura cautelare, ma residuale rispetto agli altri provvedimenti tipici.

Qui invece è sempre atipico, ma non residuale, anzi è l’unico applicabile, unico sia tra le misure che tra le giurisdizioni. Tuttavia non sono stati ristretti i mezzi cautelari, bensì vi è stata una grande apertura secondo il principio della strumentalità.

 

Il procedimento

Sostanzialmente ancora regolato dalla normativa precedente alla L.205/2000.

Si procede con ricorso o con istanza successiva a questo, da comunicarsi alla parte resistente e ad almeno uno dei contro interessati (questi entro 10 giorni dalla notifica possono presentare memorie e resistenze).

Il giudice si pronuncia in camera di consiglio. Se si segue il corso normale del processo, non serve alcuna comunicazione; se invece la misura cautelare si discute in data diversa dall’udienza pubblica deve essere dato avviso di comunicazione alle parti.

Se vi è urgenza, la parte deve avanzare richiesta al TAR per abbreviare il termine di 10 giorni.

Il giudice si pronuncia con ordinanza, immediatamente esecutiva e motivata (obbligo di motivazione anche prima del 2000, ma spesso ignorato).

Prima del 2000: danno grave ed irreparabile derivante dall’esecuzione dell’atto.

Dal 2000: pregiudizio grave e irreparabile derivante dall’esecuzione dell’atto impugnato e dal comportamento inerte dell’amministrazione durante il tempo necessario a giungere ad una decisione sul ricorso.

 

Presupposti per la concessione della tutela cautelare: pregiudizio grave ed irreparabile e fumus boni juris

Motivazione del fumus boni iuris

Prima si riteneva un vicolo per il giudice, e quindi si tendeva a non motivare il provvedimento. Oggi, per ragioni di trasparenza, questi cominciano ad essere motivati. Inoltre non si può ritenere che vincolino il giudice nella decisione sul merito, perché si decide in base ad una sommaria cognitio, senza contraddittorio.

 

La prestazione della cauzione

Con la L.20572000 è stata prevista la possibilità di disporre una cauzione (la cui prestazione subordina la concessione o il diniego della misura cautelare) se dal provvedimento cautelare potrebbero derivare effetti irreversibili. Può essere prestata da tutte le parti, e il giudice deve stabilire le modalità e l’entità della cauzione, che può essere prestata anche tramite fideiussione. È applicabile in modo generale tranne quando la richiesta cautelare attenga interessi essenziali della persona (diritto alla salute, all’integrità fisica, all’ambiente) o ad altri beni di rilievo costituzionale.

 

Definizione del giudizio nel merito in forma semplificata

Durante il giudizio in camera di consiglio fissato per trattare la misura cautelare, può accadere che il giudice definisca nel merito il ricorso con l’adozione di una sentenza succintamente motivata.

La norma fissa dei presupposti perché il giudice possa subito definire il giudizio, ma sono comunque di carattere soggettivo. In ogni caso però il giudice deve prima sentire sul punto le parti costituite, altrimenti la sentenza sarà annullabile. Il giudice deciderà il ricorso nel merito: Se risulta la manifesta fondatezza o infondatezza

Se la causa è di semplice risoluzione (il giudice per decidere della misura cautelare deve in ogni caso conoscere la causa)

 

La condanna alle spese

Adunanza primaria del consiglio di stato: le spese della fase contenziosa possono essere liquidate con l’ordinanza che definisce tale fase perché vi dovrebbe essere il dato oggettivo della soccombenza nel merito. Il legislatore tuttavia ha introdotto una specifica disposizione che contempla la possibilità di provvedere in “via provvisoria” alla liquidazione delle spese.

La condanna potrà poi essere modificata o eliminata a seguito di un diverso esito di merito sul giudizio.

 

I rimedi contro l’ordinanza: a) l’appello; b) la revoca

il giudice amministrativo aveva stabilito che contro le ordinanze cautelari adottate dai TAR ci si potesse appellare al consiglio di stato (l’appello è previsto sì solo contro le sentenze, ma tali ordinanze hanno comunque carattere decisorio).

L.205/2000: contro le ordinanze del TAR è previsto l’appello entro 60 giorni dalla notificazione dell’ordinanza o 120 giorni dalla comunicazione del deposito in segreteria.

Il termine che si riferisce alla comunicazione è problematico (il c.p.c. infatti si riferisce alla pubblicazione) perché non è sempre agevole risalire alla data della comunicazione (si auspica un intervento legislativo in tal senso). Sull’appello si pronuncia il consiglio di stato, con le stesse regole e procedimento previsti davanti al TAR.

Per la revoca, è stata ritenuta ammissibile dalla giurisprudenza qualora si sia modificata la situazione di fatto, o siano state violate norme di procedura, o quando la domanda contenga nuove ragioni di fatto e di diritto.

Tuttavia la L.205/2000 ha stabilito che la revoca sia ammissibile solo per fatti sopravvenuti. È dunque esclusa la revoca per nuovi fatti o per diversi profili di diritto? Si prospetta una forte limitazione di tutela…

La revoca deve essere presentata allo stesso giudice che ha adottato l’ordinanza che si vuole far revocare, insieme ad i motivi che inducono ad una ragionevole previsione sull’esito del ricorso (fumus boni juris).

Il danno è diverso dal pregiudizio:

Il primo nel c.p.c. deve essere imminente ed attuale, cosa qui non richiesta. Il secondo è meno grave, non richiede (come il danno) una quantificazione economica Correlazione tra pregiudizio e tempo

Uno stesso atto amministrativo può recare pregiudizio grave e irreparabile a seconda della durata del processo che si svolge davanti, di volta in volta, ad uno specifico TAR (se questo è più affollato, come ad es. quello di Roma, vi è maggiore possibilità di pregiudizio)

 

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