I poteri cautelari del giudice amministrativo
Anche se il d.lgs. 104/10 impone al giudice ed alle parti di cooperare per la realizzazione della ragionevole durata del processo, i tempi processuali possono, il più delle volte, pregiudicare le ragioni del ricorrente (ad es., se al proprietario viene intimata la demolizione di un manufatto edilizio, perché abusivo, e la costruzione viene effettivamente demolita, a nulla varrà l’ accoglimento del ricorso contro il provvedimento del comune, se non ai fini dell’ eventuale risarcimento danni).
Tenuto conto di ciò, tutti gli ordinamenti processuali prevedono, oggi, una specifica tutela cautelare, che serve ad impedire che i tempi del processo giochino a danno della parte che ha ragione (serve, cioè, ad assicurare provvisoriamente, anticipandoli, gli effetti della decisione di merito).
È necessario sottolineare, tuttavia, che prima dell’ emanazione della L. 205/00, l’ unica misura cautelare tipica prevista e disciplinata dal nostro ordinamento era la sospensione del provvedimento impugnato, qualora dalla sua esecuzione fossero derivati danni gravi ed irreparabili (tali, cioè, da non poter essere riparati dall’ accoglimento del ricorso nel merito).
Soltanto nell’ ambito della giurisdizione esclusiva (in particolare, nella materia del pubblico impiego) potevano trovare applicazione misure cautelari atipiche, ex art. 700 c.p.c. (in tal senso, Corte cost., sent. 190/85).
Tali limitazioni, però, se non influivano negativamente sulla tutela di interessi legittimi oppositivi (ad es., la sospensione dell’ ordinanza di demolizione), rendevano, viceversa, quasi del tutto impossibile la tutela cautelare di interessi legittimi pretensivi, poiché lesi da provvedimenti di carattere negativo (ad es., il diniego del permesso di costruire): in altri termini, ci si chiedeva come fosse possibile sospendere il provvedimento negativo.
La stessa giurisprudenza, del resto, non era riuscita a fornire al quesito risposte del tutto efficaci: si riteneva, infatti, che il diniego di provvedimento non fosse suscettibile di sospensione; ma, anche se fosse stata possibile, la sospensione del provvedimento negativo non avrebbe potuto comunque equivalere al rilascio del provvedimento negato, perché qualora avesse accolto la domanda di cautela, il giudice avrebbe finito per sostituirsi all’ amministrazione.
Di queste problematiche hanno preso, quindi, atto la L. 205/00 e il d.lgs. 104/10: in particolare, attraverso questi due provvedimenti, il legislatore, tenendo conto dell’ insufficienza della misura cautelare (tipica) della sospensione del provvedimento impugnato, ha ritenuto opportuno strutturare i poteri cautelari del giudice amministrativo sullo schema dell’ art. 700 c.p.c.: ciò significa, pertanto, che oggi il giudice può concedere all’ interessato la misura cautelare (atipica) più idonea ad assicurare interinalmente (cioè, provvisoriamente) gli effetti della decisione sul ricorso; il legislatore, inoltre, tenendo conto del fatto che nel processo amministrativo può essere proposta non soltanto l’ azione di annullamento, ma anche l’ azione di condanna e quella di mero accertamento (ossia, azioni nelle quali manca un provvedimento), ha previsto anche la possibilità di disporre l’ ingiunzione a pagare, in via provvisoria, una somma di denaro (anticipatoria di una sentenza di condanna).
I presupposti per l’ esercizio del potere cautelare
Affinché la richiesta cautelare possa essere accolta sono necessari il fumus boni iuris ed il periculum in mora. In particolare, ai sensi dell’ art. 55, co. 1 c.p.a., il periculum in mora coincide con il danno grave ed irreparabile, mentre la necessità del fumus boni iuris è enunciata nel successivo co. 2 della medesima disposizione, ove si legge che la domanda cautelare può essere accolta se il ricorso, ad un sommario esame, appare fondato [si parla di fumus, ossia di una parvenza di fondatezza (senza la quale il danno grave ed irreparabile non è sufficiente, da solo, a giustificare l’ accoglimento della domanda): sarebbe, ad es., incongrua la sospensione di un provvedimento, anche se causa di un pregiudizio serio, se i motivi di ricorso apparissero, prime facie, infondati].
Il procedimento cautelare ordinario (o collegiale)
L’ istanza cautelare deve essere proposta al collegio (il Tar adìto) con un atto inserito nel corpo del ricorso introduttivo (o anche con una separata istanza); fatto ciò, la domanda (dopo essere stata notificata alle altre parti) deve essere depositata presso la segreteria del Tar (insieme all’ istanza di fissazione dell’ udienza di merito). A questo punto, la domanda cautelare viene esaminata dal collegio nella prima camera di consiglio successiva, purché siano trascorsi almeno 20 gg. giorni dal perfezionamento, anche per il destinatario, dell’ ultima notificazione e 10 gg. dal deposito del ricorso.
Le parti possono depositare memorie e documenti fino a 2 gg. prima della camera di consiglio; tuttavia, per gravi ed eccezionali ragioni, le stesse parti possono essere autorizzate a depositare documenti anche nella camera di consiglio, purché di essi sia stata consegnata copia alle altre parti prima dell’ inizio della discussione (questa si svolge in modo sintetico, se una delle parti ne fa richiesta).
In merito alla domanda, il collegio può, innanzitutto, emettere un’ ordinanza motivata, di accoglimento o di rigetto (motivata, ovviamente, in ordine al periculum in mora ed al fumus boni iuris).
In secondo luogo, il collegio (qualora ritenga che sussistano i presupposti per il giudizio di merito) fissa, con ordinanza collegiale, la data di discussione del ricorso nel merito.
Infine, il collegio può definire il giudizio con sentenza di merito in forma semplificata, purché sia assicurato il contraddittorio e sempre che non sia necessaria un’ istruttoria; è bene precisare, però, che la definizione del giudizio con sentenza in forma semplificata non è ammessa nel caso in cui una delle parti dichiari di voler presentare motivi aggiunti, ricorso incidentale ovvero regolamento di competenza o di giurisdizione.
Le varianti all’ ordinario procedimento cautelare
Sebbene la domanda di cautela debba essere esaminata in tempi brevi, questi ultimi, tuttavia, possono risultare comunque troppo lunghi qualora l’ urgenza sia massima; a tal fine, gli artt. 56 e 61 c.p.a. prevedono due specifiche ipotesi risolutive.
Innanzitutto, è previsto che, in caso di estrema gravità ed urgenza (tale da non consentire neppure di attendere la data della camera di consiglio) la richiesta può essere rivolta al presidente del Tar o al magistrato da lui delegato: il giudice, accertata l’ avvenuta notifica del ricorso (almeno all’ amministrazione resistente e ad uno dei controinteressati), provvede con decreto motivato non impugnabile.
L’ altro rimedio previsto e disciplinato dalla legge prende, invece, il nome di misura cautelare ante causam (cioè, anteriore alla causa). A differenza della precedente ipotesi (nella quale, come visto, l’ urgenza è tale non consentire l’ attesa fino alla data della camera di consiglio), in questo caso, invece, l’ urgenza è tale da non consentire neppure la previa notificazione del ricorso; risulta, allora, sufficiente notificare la domanda di misura cautelare perché il presidente o il giudice da lui delegato provveda su di essa (con decreto), dopo aver sentito le parti (è bene precisare comunque che, nell’ ipotesi disciplinata, il ricorso per il merito non viene omesso, ma semplicemente posticipato: tant’è vero che se esso non viene notificato entro 15 gg. e depositato in segreteria nei successivi 5 gg., il decreto presidenziale perde efficacia).
La riproposizione della domanda, l’ istanza di revoca e le impugnazioni
L’ ordinanza del Tar che respinge la domanda cautelare può essere riproposta qualora si verifichino mutamenti nelle circostanze di fatto o qualora il ricorrente alleghi fatti anteriori da lui prima non conosciuti (purché fornisca la prova del momento in cui ne è venuto a conoscenza); per contro, qualora il Tar accolga la domanda del ricorrente, le altre parti possono proporre istanza di revoca della misura cautelare (sempre che, ovviamente, ricorrano i medesimi presupposti su indicati).
Per quanto riguarda, invece, il sistema delle impugnazioni, è necessario sottolineare che avverso le ordinanze cautelari l’ interessato può proporre appello al Consiglio di Stato, nel termine di 30 gg. dalla notifica dell’ ordinanza (ovvero nel termine di 60 gg. dalla sua pubblicazione). In particolare, il Consiglio di Stato è chiamato a valutare l’ ingiustizia dell’ ordinanza (di accoglimento o di rigetto della misura cautelare) così come prospettata dall’ appellante; ma può anche accertare d’ ufficio la violazione delle regole sulla giurisdizione, sulla competenza per territorio o sulla competenza funzionale (ed annullare l’ ordinanza impugnata per questo motivo).
Nel caso in cui il Consiglio di Stato, accogliendo il ricorso in appello, disponga una misura cautelare, l’ ordinanza viene trasmessa, dalla segreteria, al primo giudice, in modo che questi fissi l’ udienza di merito con priorità.