Il fine e l’ interesse

Nel linguaggio corrente degli studiosi della P.A., il termine fine è fungibile con il termine interesse. Si parla di fini pubblici o di interessi pubblici: ad es., del fine, che una collettività persegue, di avere assicurato l’ ordine pubblico o dell’ interesse di una collettività all’ ordine pubblico.

I due termini, a ben vedere, denotano la stessa cosa, ma hanno una diversa connotazione: il sostantivo fine, infatti, evoca qualcosa che sta al termine di un percorso; l’ interesse, invece, rimanda a qualcosa che è permanente, che dura, cioè, nel tempo (è bene precisare, comunque, che nell’ ambito della politica e dell’ amministrazione si preferisce utilizzare il termine interesse, perché esso più si addice al carattere di permanenza proprio dello Stato, dei pubblici poteri e delle amministrazioni).

L’ interesse legittimo e il diritto soggettivo

In generale, l’ interesse può essere definito come l’ aspirazione verso un bene ritenuto idoneo a soddisfare una pretesa o un bisogno nella vita di un soggetto; ora, quando quest’ interesse viene considerato dalla legge meritevole di tutela in quanto tale, nel senso che l’ interessato ha la possibilità di agire direttamente in giudizio per la sua tutela, si parla di diritto soggettivo. Diritto soggettivo è, ad es., il diritto di proprietà; ciò significa che il proprietario può agire in giudizio per la tutela del diritto contro chiunque lo abbia leso (P.A. compresa): supponiamo, ad es., che un comune, nel realizzare un parco pubblico, invada abusivamente una porzione di terreno di proprietà privata, senza espropriarlo; in questo caso il comune viola un diritto soggettivo (di proprietà) e il proprietario può rivolgersi al giudice ordinario contro tale comportamento della P.A.

L’ interesse legittimo, invece, (secondo la definizione elaborata dal Nigro e, poi, accolta dalla Cassazione nella importantissima sentenza 500/99) è una posizione giuridica soggettiva riconosciuta ai privati, grazie alla quale essi incidono sull’ attività amministrativa allo scopo di tutelare un bene pertinente allo loro sfera di interessi: così, ad es., l’ impresa che non ha ottenuto l’ appalto, perché è stata preferita un’ altra ditta, aveva sicuramente interesse ad ottenerlo, ma non si può dire che essa vanti un diritto nei confronti dell’ amministrazione, dal momento che questa ha un potere discrezionale (cioè, un potere di scelta) diretto ad assicurare la soddisfazione dell’ interesse pubblico (in questo caso: massima qualità della prestazione al minimo prezzo); all’ impresa che è risultata sconfitta viene semplicemente riconosciuto un interesse legittimo (cioè, l’ interesse a che l’ amministrazione si comporti rispettando le norme di legge sulle gare d’ appalto).

Da quanto detto, quindi, si può concludere dicendo che l’ interesse legittimo è una situazione soggettiva correlata al potere discrezionale della pubblica amministrazione; ovviamente, questo potere discrezionale viene esercitato attraverso una scelta (che può essere anche quella di non agire: si pensi, ad es., alla determinazione di non disporre l’ annullamento d’ ufficio di un atto illegittimo). Tale scelta comporta un’ alternativa alla quale soggiace la situazione soggettiva dell’ altra parte (l’ interesse legittimo): il privato, quindi, non ha diritto a che il potere venga esercitato nella direzione da lui voluta, ma, appunto, solo un interesse (che viene definito legittimo, perché esso può essere soddisfatto dall’ autorità amministrativa solo con un atto legittimo).

Gli interessi collettivi

Quello fin qui descritto è l’ interesse privato, vale a dire l’ interesse che concerne il singolo; ad esso viene affiancato l’ interesse collettivo, che, però, non rappresenta la semplice somma degli interessi individuali.

Per comprendere la distinzione occorre partire ancora una volta dall’ interesse del singolo: ci sono interessi che il singolo può soddisfare senza la cooperazione altrui (come ad es., l’ interesse a dissetarsi o l’ interesse a guardare le stelle); altri interessi, invece, non sono suscettibili di soddisfazione individuale, o perché presuppongono un gioco di squadra (il calcio, il basket, etc.) o perché richiedono mezzi di cui la persona interessata non dispone (l’ interesse a viaggiare per il mondo in navi di lusso) o perché l’ interesse individuale ha di fronte a sé l’ interesse antagonistico che è proprio di altra persona e che è destinato a prevalere (ad es., l’ interesse del lavoratore ad ottenere dal suo datore di lavoro la retribuzione più alta possibile, le condizioni di lavoro migliori possibili, etc.). In tutti questi casi, come si può facilmente intuire, la soddisfazione dell’ interesse va cercata sul piano collettivo (ad es., il lavoratore singolo è destinato a soccombere nello scontro con colui che gli dà lavoro, ma può far valere le sue ragioni se si riunisce in un sindacato di lavoratori, che recupera sul piano collettivo quella forza contrattuale che al singolo lavoratore manca).

Così considerato, l’ interesse collettivo non designa tanto una specie di interesse, quanto il mezzo per soddisfarlo (costituito, quest’ ultimo, dalla cooperazione di tutti coloro che ne sono portatori); in questa prospettiva l’ interesse collettivo può anche essere definito un interesse parziale, vale a dire l’ interesse di una collettività che, a sua volta, costituisce una parte di una comunità maggiore.

Gli interessi generali

L’ interesse generale è l’ interesse che riguarda l’ individuo come membro del pubblico (si pensi, ad es., all’ interesse a che sia in vigore una norma che vieti l’ omicidio e punisca coloro che lo commettono).

Ora, la condizione indispensabile perché una misura possa essere considerata di interesse generale è che essa tratti allo stesso modo tutti quelli che ne sono toccati; e tale condizione delimita, ovviamente, tutte le alternative possibili: così, ad es., rispetto alla regola che vieta a tutti di commettere omicidio, la sola alternativa munita del medesimo carattere di universalità sarebbe la regola che consentisse a tutti di commettere omicidio.

In virtù di tali considerazioni, si può senz’ altro affermare che sono conformi all’ interesse generale le norme contenute in un codice civile, in un codice penale o in un codice di procedura, perché si tratta di norme che prendono in considerazione chiunque, nonché le situazioni in cui chiunque può venire a trovarsi (esistono, tuttavia, in questi testi, anche delle norme specifiche che si rivolgono a soggetti determinati, in ragione del ruolo da essi rivestito: ad es., pubblico ufficiale, giudice, etc.).

Gli interessi pubblici

Con l’ interesse generale viene spesso confuso l’ interesse pubblico (nel senso che i due termini vengono usati promiscuamente); in realtà, occorre sottolineare che l’ interesse pubblico si distingue da tutti gli altri interessi perché è stato incorporato in una norma, in una politica o in una misura pubblica (dei pubblici poteri). L’ interesse generale può essere, semmai, un criterio per valutare più proposte che abbiano per oggetto norme, politiche o misure, prima che una di queste proposte venga accolta e formalizzata come norma, politica o misura pubblica (così, ad es., l’ interesse generale potrebbe essere quello ad una riduzione delle tasse; ma se il Governo persegue una politica opposta di incremento del carico tributario e delibera o promuove un provvedimento legislativo che ritocca le aliquote verso l’ alto, è questo l’ interesse pubblico che gli uffici finanziari devono perseguire).

Assumendo, pertanto, che l’ interesse pubblico è l’ interesse che viene reso pubblico dai pubblici poteri, diventa essenziale stabilire chi, all’ interno dei pubblici poteri, è abilitato a convertire un certo interesse in interesse pubblico. Ovviamente, nello stato assoluto, arbitra dell’ operazione è la volontà del sovrano; nello stato costituzionale l’ interesse pubblico è, invece, definito dalla legge; nello stato liberal-democratico la legge è quella deliberata da un Parlamento eletto a suffragio universale o da un Governo che è espressione della maggioranza elettorale ed è munito di potestà legislativa.

Questo semplice fatto (che, cioè, competente ad individuare l’ interesse pubblico è il legislatore, ossia la maggioranza parlamentare) spiega, tra l’ altro, il motivo per il quale interesse collettivi, ma non generali, siano eretti ad interessi pubblici: è sufficiente, infatti, che un certo gruppo sociale, numericamente maggioritario, voti compatto perché la maggioranza parlamentare che ne risulta adotti politiche e misure conformi all’ interesse collettivo del gruppo.

Da quanto detto, quindi, possiamo concludere dicendo che gli interessi pubblici includono non solo gli interessi generali (gli interessi che ogni individuo avverte in quanto cittadino), ma anche gli interessi collettivi, che sono riqualificati come interessi pubblici con la loro assunzione nell’ ambito pubblico.

I modi per soddisfare gli interessi

Da quanto detto risulta evidente che la distinzione tra gli interessi appena delineata non è fondata sul valore o sul pregio comparativo, ma sulle modalità di soddisfazione degli stessi interessi: è, infatti, in virtù di questo parametro che determinati interessi rimangono nella sfera privata, mentre altri vengono trasferiti sul piano collettivo (o pubblico). Per comprendere quanto detto, facciamo un esempio: è difficile trovare un interesse più essenziale del cibo, necessario per soddisfare un bisogno elementare; eppure, in quasi tutte le civiltà, l’ agricoltura è stata praticata dai privati nella forma dell’ autoproduzione (prima) e del mercato (poi); allo stesso modo, l’ interesse a circolare corrisponde anch’ esso ad un bisogno essenziale, ma certamente meno essenziale del bisogno del cibo (si può sopravvivere stando sempre nello stesso posto, non si può sopravvivere senza mangiare); eppure dappertutto la libertà di circolazione viene esercitata a mezzo di infrastrutture e di servizi pubblici. Dagli esempi avanzati si capisce, pertanto, che gli interessi generali e gli interessi pubblici, nella prospettiva del singolo, non sono interessi più elevati di tanti altri interessi che rimangono privati; si tratta soltanto di interessi che non possono essere soddisfatti se non con l’ intervento pubblico.

Gli interessi non pubblicizzabili

Non bisogna, però, credere che il processo di moltiplicazione degli interessi sia inarrestabile. Un primo vincolo, infatti, discende dalle costituzioni; ogni costituzione indica (al legislatore) interessi (pubblici) da perseguire, ma nello stesso tempo esclude o vieta che altri interessi siano assunti nella sfera pubblica e qualificati come interessi pubblici: ad es., la Costituzione italiana, mentre, da un lato, impone di organizzare un sistema di sicurezza sociale, una scuola pubblica per tutti gli ordini e gradi, un sistema di assistenza per i cittadini inabili al lavoro e sprovvisti dei mezzi necessari per vivere, dall’ altro, ci dice anche che determinati interessi non possono essere qualificati come interessi pubblici: così, ad es., l’ affermazione della libertà sindacale esclude che i sindacati possano essere qualificati come enti pubblici; così come non possono essere enti pubblici i partiti politici [infatti, la libertà sindacale e partitica, che include anche l’ opzione negativa (cioè, la libertà di non iscriversi ad alcun sindacato o ad alcun partito), comporta che gli interessi tutelati da organismi del genere non possono essere, per definizione, interessi pubblici].

Il secondo limite a carico del legislatore ordinario deriva, invece, dai vincoli europei: il diritto europeo vincola, infatti, il legislatore italiano nella determinazione degli interessi pubblici da soddisfare attraverso la disciplina della politica economica e monetaria.

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