Le consuetudini potevano mutare, nascere o morire, e non sempre per evoluzione spontanea.

In un sistema siffatto non vi era molto spazio per tecniche giuridiche specializzate, in quanto le regole di condotta e i criteri di risoluzione delle controversie erano il frutto di comportamenti ripetuti nel tempo, piuttosto che di leggi scritte da interpretare o di decisioni giurisprudenziali assunte da professionisti del diritto.

le consuetudini altomedievali

  • in parte si sono trasfuse in testi legislativi scritti;
  • in parte si sono realizzate attraverso l’opera dei notai rogatari dei documenti;
  • solo in parte hanno costituito comportamenti non mediati dalla scrittura né dall’intervento di giuristi;

Ma un diritto che conosce e pratica la scrittura non può non essere, almeno in certo senso, un diritto colto.

Fondamentale, al riguardo, è il ruolo svolto dal notariato.

L’influenza tardo-antica è accertabile, negli atti privati del regno longobardo, ove si riscontra peraltro la presenza di formulari diversi, talora anche nel medesimo luogo. A questa varietà di formule, subentra nel corso del secolo X uno stile di redazione dei documenti assai più uniforme e talora quasi stercotipato, ciò accade in modo ancora più accentuato per gli atti giudiziario.

Il rapporto che legava il notariato ai pubblici poteri, ricostruibile solo in via indiretta per l’età longobarda, nell’età carolingia venne esplicitato come un rapporto di dipendenza dei notai dai missi regi.

Ma presto comparvero, accanto ai semplici notai comitali, anche «notai del sacro Palazzo» per i quali il collegamento diretto con Pavia e con l’autorità regia è evidente.

Dapprima pochi di numero, essi crebbero rispetto agli altri notai locali sino a divenire la maggioranza nell’XI secolo. Per una sorte singolare, ciò avvenne anche e soprattutto allorché Pavia ebbe cessato di essere la capitale del Regno, dopo la distruzione del Palatium, avvenuta nell’anno 1024 per opera dei pavesi stessi, che speravano di liberarsi così, in un momento di sede imperiale vacante, dai pesanti oneri connessi al mantenimento della corte regia.

La progressiva centralizzazione della procedura di nomina dei notai potrebbe spiegare la maggiore uniformità dei formulari, riscontrabile nei secoli X e XI.

Le ricerche recenti di storia sociale per i secoli dal IX all’XI hanno mostrato come vi fossero in diverse città italiane famiglie appartenenti all’aristocrazia locale, dalle quali uscivano con frequenza uomini destinati alle funzioni di notaio o di giudice; l’esame delle fonti sembra indicare una provenienza elitaria dei giuristi di questa età. Vi è un forte loro radicamento locale.

I giudici operano non di rado anche fuori dalla propria sede di residenza; specie quelli tra loro che appartengono al tribunale supremo pavese sono giudici imperiali itineranti.

Per tutto il secolo X risultano decise a Pavia controversie nate in varie località del Regno, mentre questa funzione di istanza giudiziaria superiore viene meno nel secolo XI, dopo la distruzione del Palazzo nel 1024.

I giudici continuano tuttavia a sottoscriversi come giudici imperiali, e questa qualifica non cadrà neppure con l’avvento dei comuni nel secolo XII.

Il collegamento formale con la fonte del potere legittimo rimase pertanto in Italia ben saldo.

Sul terreno giudiziario, il nuovo formalismo riscontrabile nelle sentenze a partire dal secolo X fu probabilmente il frutto di una condizione di impotenza dei giudici, che sembrano ormai in grado di svolgere il loro ruolo soltanto sulla base di accordi intervenuti previamente tra le parti.

La cultura dei giuristi è dunque, in questi secoli, essenzialmente una cultura di pratici del diritto:

notai e giudici operano redigendo chartae e notitiae sulla base di formule tralaticie, adattate alle peculiarità del caso singolo. Le innovazioni nel formulario degli atti che pur si riscontrano rivelano i movimenti e gli adattamenti di questa cultura pratica dei giuristi altomedievali.

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