Il feudo e gli istituti vassallitici furono introdotti su larga scala nel meridione d’Italia proprio dai Normanni.

Ma una parte non piccola del territorio fu sottratta al processo di infeudazione e assoggettata al diretto dominio della corona, formando le terre e le città demaniali.

Inoltre i dominatori della casa d’Altavilla vollero e seppero impedire, una volta conquistato il potere che i feudatari si frapponessero come uno schermo tra loro e gli altri sudditi del regno.

Questo risultato di grande momento venne conseguito avvalendosi di due strumenti principali: il fisco e la giustizia.

Il fisco: risale agli anni successivi al 1140 l’organizzazione di un rigoroso sistema di riscossione dei tributi, attuato sia nelle terre fiscali che in quelle demaniali.

La dogana de secretis funzionava sulla base di rilevazioni analitiche di uomini e terre di Sicilia.

La dogana baronum pare abbia avuto in origine il compito di applicare i medesimi criteri per le terre della penisola.

Più tardi, le due doganae assunsero funzioni fiscali distinte,

  • la prima (de secretis) con riguardo ai beni demaniali;
  • la seconda (baronum) con riguardo ai feudi.

La giustizia: ancora più decisivi per il successo della strategia dei sovrani normanni furono gli interventi sul terreno della giustizia.

Nel primo periodo della dominazione le fonti documentarie mostrano come nel Mezzogiorno convivessero magistrature d’origine bizantina, giudici cittadini elettivi creati dalla recente civiltà comunale, infine giurisdizioni signorili e feudali poste in essere dai Normanni.

Nacquero allora due nuove magistrature istituite dal re su base provinciale, presto divenute strumenti efficaci per l’affermazione dell’autorità monarchica:

a) giustizieri

b) camerarii.

a) Comparsi dapprima in Campania e quindi estesi alle altre regioni del regno, i camerarii svolsero funzioni amministrative e giudiziarie nel campo civile e feudale, con particolare riguardo alle controversie tra singoli e tra comunità, relative a prestazioni e a tributi.

b) Ai giustizieri le leggi di Ariano del 1140 conferirono espressamente l’alta giurisdizione penale per i reati più gravi (omicidi, rapine, incendi ed altri), mentre la competenza per i reati minori rimaneva affidata ai baiuli, ufficiali legati anch’essi al potere regio ma operanti su distretti territoriali più piccoli.

L’esame dei documenti rivela inoltre che i giustizieri esercitarono sin dall’inizio anche funzioni giurisdizionali in materia feudale, là dove nasceva una controversia tra due vassalli.

Sostituendosi alla tradizionale «corte dei pari» l’intervento dei giustizieri comportava un controllo assai più diretto sui feudatari del regno da parte del sovrano: i giustizieri dovevano infatti al re la loro nomina e dal re ricevevano le correlative competenze civili e penali.

Il ruolo dei vassalli venne dunque deliberatamente circoscritto. i sovrani normanni non esitarono ad intervenire persino nella sfera giuridica privata e personalissima dei vassalli del regno, imponendo loro di richiedere il preventivo assenso regio qualora intendessero maritare le loro figlie. In tal modo le famiglie della nobiltà dovevano superare il vaglio dell’approvazione sovrana nel concludere le loro alleanze matrimoniali, assoggettandosi in pari tempo a un controllo giuridico, sociale e politico.

I privilegi concessi alle singole comunità urbane si adeguarono caso per caso alle mutevoli condizioni di autonomia raggiunte dalle diverse città ma furono coerenti nel disegnare un rapporto col potere regio che coniugava libertà e soggezione:

Le magistrature preesistenti all’età normanna, con i loro connotati bizantino od arabi, vennero non di rado conservate, ma divennero di nomina regia pur avendo le città ottenuto in molti casi di far cadere la scelta su persone del luogo.

Due ufficiali del re, il capitano e il baiulo, esercitavano a loro volta funzioni civili, feudali e penali estese al territorio cittadino assicurando il collegamento con le magistrature superiori del regno

Emerge allora la non comune capacità assimilatrice dei sovrani normanni: lungi dall’eliminare le variegate tradizioni locali del meridione d’Italia, essi seppero ricavarne abilmente ciò che era funzionale alla loro impresa unificatrice, ponendo in realtà le basi per un ordinamento nuovo.

Con il passaggio all’età sveva le linee del disegno centralizzatore vennero riprese con tratti assai più marcati e precisi.

Federico II univa sul suo capo la carica imperiale e quella regia, e questo dualismo ebbe l’effetto di sollecitare il sovrano al duplice tentativo di rinvigorire la carica imperiale con l’esercizio di poteri analoghi a quelli propri del re di Sicilia, e di attribuire alla carica regia i diritti supremi spettanti all’imperatore.

Federico riuscì a porre le basi normative di un vero stato territoriale, le cui istituzioni anticipano per taluni aspetti quelle degli stati moderni.

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