Se l’istituto del feudo è divenuto il simbolo di un’intera stagione della storia europea, ciò si deve in primo luogo al ruolo che esso ha rivestito nella realtà politico – istituzionale dei secoli IX-XII.
Furono i re Carolingi, anzitutto Carlo Magno stesso, ad adottare la prassi di attribuire ai conti del regno il titolo di vassalli del re. In questo modo si voleva creare un legame ulteriore tra il re e i suoi funzionari, stretto in nome della specifica fedeltà feudale.
Anche i vescovi Carolingi furono obbligati a divenire vassalli del re, giurandogli fedeltà. Il feudo veniva così deliberatamente inserito nella costituzione del regno franco allo scopo di rafforzarne le strutture.
Con la crisi della costruzione politica carolingia, le possibilità di controllo effettivo del sovrano sulle cariche pubbliche si ridussero a ben poco.
Carlo Magno aveva tentato di affermare il principio per cui la fedeltà al re si manteneva anche in presenza di un vincolo feudale tra un vassallo e un signore, ma l’autorità regia, in Francia e in gran parte d’Europa, non fu in grado nei secoli X-XI di ottenere né la subordinazione dei vassalli maggiori, titolari di cariche pubbliche, né l’obbedienza dei vassalli minori e dei sudditi, Tra il re e questi ultimi si erano interposti i principi territoriali, ormai divenuti i veri detentori del potere.
La genesi dei principali territoriali è uno dei fenomeni centrali di questa età, in particolare del secolo X.
In Francia come in Germania ed altrove, il re stesso doveva passare attraverso i principi per assicurarsi la cooperazione dei vassalli minori.
La crisi di autorità dei secoli X e XI comportò dunque una riduzione sensibile del potere sovrano rispetto all’età carolingia.
Ma anche a questo riguardo non vi fu omogeneità piena nei diversi regni.
In Francia il solo legame tra il re e i titolari delle maggiori cariche pubbliche rimase il legame feudale; un vincolo reso meno saldo dall’ereditarietà dei feudo ormai affermata e dalla sostanziale autonomia dei prìncipi, ma non perciò trascurabile. Quando la monarchia francese assumerà gradualmente il controllo del territorio, a partire dai secoli XII e XIII, essa farà riferimento in modo via via più pressante, anche ai vincoli di obbedienza imposti dal rapporto di vassallaggio.
Il fondamento dell’autorità sovrana sui sudditi e sui grandi del regno consistette perciò, in quest’epoca, soprattutto nella fedeltà reciproca imposta dal contratto feudale.
Ciò comportava il dovere dell’obbedienza per l’inferiore, ma altresì un atteggiamento che poteva andare al di là dell’obbedienza, in nome dell’idea stessa di fedeltà: il principio della legittimità della resistenza al sovrano ingiusto, formulato più tardi, trova qui le proprie radici.
Le Consuetudini feudali lombarde dell’XI-Xll secolo, ad esempio, affermano il dovere dei vassallo di aiutare in guerra il signore solo se la guerra da questi promossa sia giusta, o quantomeno non palesemente ingiusta; e un passo celebre dei duecentesco «Specchio sassone» dichiara che l’uomo può resistere al proprio re e al proprio giudice quando questi agisca contro il diritto, senza che ciò comporti la violazione del giuramento di fedeltà.
Da parte sua, anche il sovrano era dunque legato da un patto, e non poteva pretendere dai sudditi ciò che andasse al di là degli obblighi convenuti.
Le sue proiezioni nel tempo furono di lunga durata: il crollo dell’assolutismo in Europa avvenne con la riesumazione dei diritti di consultazione dei ceti, attraverso una procedura di convocazione degli Stati generali che aveva origini medievali e natura contrattuale.