Qualora il matrimonio incontri ostacoli, i coniugi hanno la possibilità di separarsi, ma solo il divorzio può cancellare gli effetti e provocare lo scioglimento del matrimonio. Nonostante tale separazione le decisioni di maggior interesse relative ai figli continuano comunque a essere prese da entrambi i genitori e gli eventuali obblighi di mantenimento sono a carico del coniuge che ha il reddito più alto. I coniugi separati possono poi decidere di riconciliarsi e di riprendere la vita comune: l’atto esteriore che permette di riprendere il matrimonio, modificando la condizione di separati, è la convivenza.

La separazione può essere consensuale o giudiziale (art. 150), oppure di fatto.

Si parla di separazione di fatto, se i coniugi decidono di provare a vivere separatamente, continuando però a assolvere ai doveri che derivano dal matrimonio e non allontanandosi senza giusta causa dalla residenza familiare (art. 146): viene meno la convivenza (affectio coniugalis), ma permane l’obbligo di coabitazione. Tale separazione di fatto consiste dunque in una modifica del rapporto coniugale attuata, però, senza quel quid plus rappresentato dal provvedimento giudiziale.

L’art. 158 co. 1, fornendo una definizione in negativo, sembra voler negare che la separazione di fatto abbia effetti sul piano giuridico. Una sentenza della Corte costituzionale, tuttavia, definendo illegittima una disposizione avente ad oggetto la separazione di fatto, dimostra, al contrario, di considerarla giuridicamente rilevante. Dall’analisi di questi due elementi, risulta evidente una contraddizione, che, tuttavia, può essere risolta: la separazione di fatto produce effetti fintanto che le parti coinvolte sono d’accordo su di essi, a prescindere dall’omologazione e rebus sic stantibus.

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